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Simon de Pury. Foto Luc Castel

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Simon de Pury. Foto Luc Castel

Simon de Pury: «Comprate ma non rivendete per tre anni»

L’ex proprietario di Philips vuole cambiare il meccanismo delle aste coinvolgendo artisti e gallerie. Mette in guardia i giovani dai facili successi e tenta di bloccare incursioni speculative

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Alberto Fiz

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Artista, galleria, casa d’asta. Tutti insieme appassionatamente alla rincorsa del successo. La Triplice Alleanza è oramai cosa fatta. Dal prodotto finito all’incanto in un baleno senza ulteriori passaggi, scardinando la distinzione tra mercato primario e secondario. A ideare il nuovo meccanismo che consente agli artisti del momento di trasferire le loro opere dall’atelier all’asta (nel 2008 ci aveva provato solo Damien Hirst) è Simon de Pury, collezionista, banditore, consulente d’eccezione (a soli 27 anni sceglieva le opere per il barone Thyssen) e il solo a tentare, con la Phillips de Pury & Company, di spezzare il duopolio Sotheby’s-Christie’s. Soprannominato il Mick Jagger del mercato per la sua capacità di spettacolarizzare le vendite pubbliche, a 71 anni l’art dealer svizzero ha deciso di dare un’ulteriore svolta alla sua carriera con la casa d’asta online de Pury. La sfida è tutta incentrata sul contemporaneo di ultima generazione, il settore che può far saltare il banco. A mettere in guardia gli avventori della bisca tuttavia è proprio Simon che dichiara sibillino: «Attenzione, meno del 5% dei giovani o delle giovanissime ce la farà». E via con le scommesse.

Dopo aver raggiunto i vertici di Sotheby’s, essere stato consulente di grandi collezionisti e aver contributo al successo di Phillips, oggi con la sua nuova casa d’asta online, ha deciso di sconvolgere il meccanismo delle aste. Mi spiega come?
Nessuno sconvolgimento. Solo il tentativo di rendere più trasparente il meccanismo. Le case d’asta da tempo agiscono come dealer e ogni anno il settore delle «private sale» viene implementato lasciando fuori gli operatori privati. In questo caso il mio è un lavoro di tutela e sono proprio gli artisti, in accordo con i loro galleristi, a decidere le strategie proponendo direttamente le opere al miglior offerente. Agli artisti va per intero la cifra battuta al martello da dividere al 50% con il mercante che li tratta. Alla casa d’asta invece vengono riconosciuti i diritti del 18% (generalmente i concorrenti applicano il 25%) sottratto il 3% da versare in beneficenza.

Quale ruolo hanno i collezionisti?
Possono acquistare ma non vendere, in modo da frenare l’isteria dei tanti che comprano oggi per rimettere in asta domani creando pericolose turbative al mercato. Chi da noi si aggiudica un’opera poi firma un contratto dove si stabilisce che non potrà alienarla per tre anni.

Come si fa a svuotare il mare con un secchio? Se da un lato si frenano le velleità dei collezionisti, dall’altra è la stessa società di vendita che sviluppa un processo speculativo in accordo con gli artisti e talune gallerie iper selezionate.
La casa d’asta non agisce in chiave speculativa, ma offre agli artisti la possibilità di tutelare il loro lavoro rispettando il ruolo dei mercanti. Tant’è vero che sono gli artisti e i galleristi a beneficiarne.

Come avete scelto gli artisti per la prima asta dedicata alle donne «Women-Art in Time of Chaos» che si è svolta in una data impossibile come il 25 agosto, ma ha incassato oltre 800mila dollari con appena 16 opere?
Insieme al mio team ho scelto artiste generalmente tra i 30 e i 40 anni con lo stesso spirito con cui avrei potuto preparare una mostra puntando solo su opere realizzate negli ultimi due anni. Accanto a figure già note come l’irlandese Genieve Figgis, che ha stabilito il record d’asta con un’aggiudicazione di 170mila dollari, altre hanno affrontato l’asta per la prima volta. È questo il caso dell’americana Amanda Wall o della canadese Shelby Seu. Non manca nemmeno un’artista ucraina Alina Zamanova scoperta su Instagram, ancora senza galleria, che testimonia la guerra con ritratti di forte drammaticità. Ha debuttato con un’aggiudicazione di ben 12mila dollari.

I social sono diventati uno strumento per fare scouting?
Certamente, in particolare Instagram. Soprattutto dopo la pandemia, è profondamente cambiato il rapporto con l’opera d’arte e in molti casi il primo contatto avviene virtualmente. Le gallerie sono molto attente alle interazioni con il pubblico, oltreché al numero di follower, e può capitare che facciano le loro scelte sulla piattaforma. È un po’ quello che accadeva dieci anni fa con i gruppi musicali su YouTube.

Torniamo alle aste. Un’altra novità è quella di dichiarare il nome della galleria che tratta l’artista. Quali sono stati i primi dealer coinvolti?
Nella vendita di fine agosto la galleria più rappresentata è stata Almine Rech con cinque sedi nel mondo, da Parigi a Shanghai, tra le più attente nell’identificare i nuovi talenti nell’ambito della pittura. Ma non mancano nemmeno König, Clearing e 193 Gallery. Ma questo è solo un primo nucleo.

C’è il rischio di creare un’altra lobby come sono di fatto le grandi fiere internazionali?
No. Sono progetti curatoriali finalizzati all’asta che coinvolgono direttamente i mercanti dando visibilità al loro lavoro.

Come ha reagito quando ha saputo che Sotheby’s ha copiato la sua formula con la serie delle Artist’s Choice?
L’imitazione è la forma migliore di lusinga...Vuol dire che sono sulla strada giusta. Ma c’è una differenza. I nostri diritti d’asta sono più bassi di circa il 10% rispetto a quelli di Sotheby’s e questo significa che da noi i compratori spendono meno.

Dopo la pandemia si è assistito a una corsa sfrenata verso l’arte di ultima generazione e gli artisti degli anni Sessanta e Settanta hanno subito un improvviso stop. Come spiega questo fenomeno?
È dovuto a una forte accelerazione da parte del sistema. I collezionisti hanno il terrore di perdere il treno giusto e sono pronti a strapagare gli artisti che fanno tendenza a costo di inseguire le mode. Il fenomeno tuttavia non è nuovo. Basti pensare all’euforia nei confronti degli artisti russi o di quelli cinesi. Per non parlare dell’arte africana. Oggi il trend premia le artiste donne, soprattutto nere.

Quali sono i rischi?
Che nel giro di qualche anno gran parte delle giovani promesse svaniscano nel nulla. Soltanto poco più del 5% sarà in grado di resistere alla furia del tempo.

Nell’ambito dell’arte al femminile quali sono i nomi da tenere d’occhio?
Julie Mehretu, Lynda Benglis, Elizabeth Peyton, Jenny Saville, solo per citare i primi quattro nomi che mi vengono in mente.

Che differenza c’è tra collezionista e speculatore?
Eviterei le ipocrisie. Non ho mai sentito un collezionista contento di sapere che le sue opere stessero perdendo valore. L’obiettivo di tutti è certificare la bontà del loro acquisto. Il collezionista dunque è sempre un po’ anche speculatore.

Simon de Pury. Foto Luc Castel

Alberto Fiz, 28 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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