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Silvia Evangelisti. Foto © Gianni Schicchi

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Silvia Evangelisti. Foto © Gianni Schicchi

Silvia Evangelisti: «Ecco perché a Bologna prevalgono le attività private»

Sono più libere, non vincolate a finalità politiche. L’e-commerce ha alzato il contenuto culturale di Arte Fiera e le fondazioni bancarie offrono programmazioni di qualità che pagano sempre, ma che bisogna comunicare meglio

Stefano Luppi

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Silvia Evangelisti, tra le più brillanti e note studiose di storia dell’arte contemporanea in Italia, è autrice, curatrice, già corrispondente dall’Emilia-Romagna per «Il Giornale dell’Arte» nel 1983-2004; dal 1986 al 2015 è docente di Storia e metodologia della critica d’arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1988 diventa consulente di Arte Fiera e nel 2003 (fino al 2012) ne assume la direzione per volontà dell’allora presidente di BolognaFiere Luca Cordero di Montezemolo. Dal 2012 ricopre l’insegnamento di avanguardie e neoavanguardie a Beni Culturali dell’Alma Mater. Con lei abbiamo tracciato alcune linee sull’attuale situazione dell’arte a Bologna.

Arte Fiera compie 50 anni: come è cambiata e in quale direzione sta andando?
La mia «frequentazione» di Arte Fiera inizia nel 1976, quando da laureanda facevo la standista per guadagnare qualche soldo. L’ultima Arte Fiera da me diretta è stata quella del 2012, dopo anni un po’ complicati per la crisi economica mondiale iniziata nel settembre del 2007 con il fallimento della Lehman Brothers. Negli ultimi dieci anni la situazione del mercato è profondamente cambiata e anche quella del mercato dell’arte. Credo che sia improprio fare un paragone tra la mia direzione e quella di oggi, lo scenario globale è così differente. C’erano meno manifestazioni fieristiche d’arte in giro per il mondo e le gallerie avevano meno scelta.

I mercati extraoccidentali erano molto meno agguerriti e i collezionisti di quella parte del mondo frequentavano quasi solo le fiere europee, mentre oggi Hong Kong, Dubai, Abu Dhabi, Singapore o Shanghai, per citare alcune fiere orientali, assorbono i collezionisti dell’Estremo Oriente e dell’Australia, che precedentemente venivano in Europa o a New York. Tutto ciò ha certamente inciso sulle fiere più storiche e tra queste Arte Fiera che necessariamente ha dovuto rivedere il proprio posizionamento nel mercato dell’arte divenuto globale. La scelta della direzione artistica di Simone Menegoi è stata quella di portare Arte Fiera su una linea più curatoriale, salvaguardando la sua tradizione generalista. Chi si è difeso meglio, anzi ha cavalcato baldanzosamente la situazione, è stata Art Basel, che ha creato una forte rete di fiere d’arte nei diversi continenti.


Qual è oggi il ruolo delle fiere d’arte?
Io credo che l’irrefrenabile espandersi anche nel mondo dell’arte dell’e-commerce abbia notevolmente ridotto e mutato il ruolo delle fiere d’arte, inevitabilmente indirizzate a svolgere una funzione più «culturale» che prevalentemente economica. E forse non è un male. È stato quello che avevo già cercato di fare nella «mia» Arte Fiera.

Il ruolo dei privati in campo culturale a Bologna è sempre maggiore: il Mast, Fondazione Golinelli, Cubo Unipol, Hera per l’Arte, Palazzo Boncompagni, Palazzo Bentivoglio. Come si spiega?
È un tema fondamentale del quale le istituzioni, perlomeno a Bologna, tengono poco conto. In realtà il ruolo delle fondazioni private non è suppletivo dell’attività culturale istituzionale, o semplice arricchimento di offerta culturale, ma ne è insostituibile elemento propulsivo: là dove le istituzioni sono legate a vincoli, spesso autoimposti, i privati possono godere di una totale libertà che consente di esplorare nuovi territori culturali, di proporre diverse visioni e diversi linguaggi della creatività non condizionati da ragioni di ritorno politico. A Bologna l’Istituzione pubblica dovrebbe prestare più attenzione alla consistente e qualificata attività messa in campo dai privati, non solo attraverso aiuti economici, ma soprattutto offrendo servizi di comunicazione e valorizzazione del lavoro che essi svolgono.

E le fondazioni di origine bancaria, la Fondazione Del Monte e la Carisbo con Genus Bononiae, che ruolo devono avere?
Vale il discorso appena fatto, con l’aggiunta di una considerazione evidente: le fondazioni ex bancarie possono offrire la fruizione di collezioni anche importanti e rare, organizzano convegni e incontri con personaggi di caratura internazionale che arricchiscono l’offerta del turismo culturale della città.

Come valuta l’offerta espositiva?
C’è stata qualche mostra di particolare interesse nel territorio? Più di una mostra: Ferrara e Forlì sono particolarmente attive, senza dimenticare il Mar di Ravenna, con una bella mostra di Alberto Burri fino al 14 gennaio, ma in particolare vorrei citare proprio il Cinema Modernissimo restituito alla città dopo un lungo e straordinario restauro. Immediatamente è diventato un luogo identitario di Bologna, con una programmazione intelligente e di qualità, pensata per ogni tipologia di spettatori, in meno di due settimane ha richiamato oltre 12mila presenze, con molti spettacoli sold out.

Servono maggiori finanziamenti?
Sempre! Ma soprattutto serve comprendere che i soldi (ben) spesi per la cultura sono un investimento altamente produttivo che restituisce la cifra moltiplicata in termini di educazione civica, di crescita di coscienza sociale, e soprattutto di benessere e qualità della vita. L’arte, la musica, la poesia, il teatro, la danza sono elementi essenziali per far crescere una società consapevole e alzare la qualità della vita delle persone, di tutte le classi sociali.

Qual è lo stato di salute del mercato dell’arte italiana, in Italia e nel mondo?
Negli ultimi due decenni l’arte italiana ha avuto una costante crescita di interesse nel mondo, crescita non ancora adeguata all’alta qualità e raffinatezza della produzione artistica del nostro Paese. Il mercato dell’arte si muove secondo regole competitive e speculative e l’Italia, dagli anni ’60 in poi, non è mai stata protagonista del sistema. Detto questo, la nostra arte ha comunque conquistato un suo pezzetto di mercato e oggi ha una sua collocazione meno marginale che in passato e non solo per i pochi grandi nomi su cui il sistema dell’arte internazionale ha puntato. Mi sembra che in Italia il mercato si sia assestato su basi solide e che ci siano prospettive positive anche per il mercato internazionale. Ma il problema rimane sempre lo stesso: non siamo stati capaci di avere un nostro sistema dell’arte forte, che possa sostenere i nostri artisti. Un esempio per tutti è quello del mercato cinese: fortissimo e «protetto» in patria, ha saputo imporsi prepotentemente e in breve tempo anche in Occidente.

Il collezionismo italiano non ha una sua peculiarità?
Il collezionismo italiano è generalmente considerato uno dei più attenti, competenti e raffinati, e per mia esperienza sono assolutamente convinta che sia così. I collezionisti italiani non comprano un nome, come avviene spesso altrove, ma un’opera: la scelgono secondo criteri personali e culturali; sono per la maggior parte competenti e appassionati. Il loro sguardo sulle opere spesso conta più delle considerazioni puramente economiche (che pure hanno una ragione d’essere): cercano quella «risposta» segreta dell’opera, del tutto personale, che Walter Benjamin chiama aura. Questa caratteristica del collezionismo italiano comincia a contagiare anche quello internazionale nei confronti nella nostra arte.

La torre Garisenda, un simbolo della città, è fortemente a rischio…
Le nostre straordinarie città medievali non sono adatte alla viabilità normale, soffrono moltissimo del traffico delle auto e soprattutto degli autobus. È inevitabile che le architetture con dieci secoli o più di storia siano a rischio. In particolare la Garisenda che si trova nel cuore del centro storico, in un luogo particolare da cui si dipartono a raggiera cinque vie che portano dal centro ai viali di circonvallazione. Ciò costituisce un grave problema, perché la chiusura al traffico di quel luogo mette in crisi tutta la viabilità cittadina. È urgente mettere in salvo la torre, simbolo stesso della città, ma cercando una soluzione che non paralizzi del tutto la mobilità. È un problema di non facile soluzione ma credo che la tecnologia avanzata di oggi possa venire in aiuto.

Quale può essere il ruolo delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’arte, dei musei, delle mostre?
Le nuove tecnologie offrono straordinarie opportunità per far vivere l’arte in modo immersivo e coinvolgente, e possono essere uno straordinario strumento di avvicinamento all’arte. Ma, contemporaneamente, possono anche essere solo spettacolari intrattenimenti, privi di qualità culturale. È un grosso rischio che stiamo correndo e che vanificherebbe le ottime opportunità di coinvolgere sempre più pubblico in eventi artistici e culturali. La tecnologia da sola non è sufficiente, deve essere «guidata» con intelligenza. In questo credo che la tecnologia 3D possa essere sfruttata in modo ottimale. Trovo molto interessante la possibilità di far entrare le persone «dentro» alle opere, non mi convince invece ingigantire le opere con proiezioni che invadono artificiosamente le pareti, il soffitto, il pavimento, falsando il senso profondo delle opere stesse.

Che periodo artistico e artisti predilige?
Tutta l’arte del Novecento, dalle avanguardie storiche a oggi. Per gli artisti posso citare Licini, Boccioni, Martini, Savinio, Marini, Melotti, Rauschenberg, Burri, Paolini, Zorio, Pistoletto, Gastini, Mattiacci, Mondino, Paladino, Kiefer, Nunzio, Mainolfi, Spagnulo, Kounellis, Pascali, Castellani, Ontani, Boetti, Pipilotti Rist, Sissi, Joana Vasconcelos, Saraceno e tanti altri.

A che cosa sta lavorando adesso?
Mi sto occupando di due mostre che aprono in concomitanza di Arte Fiera. Una a Palazzo Paltroni negli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, dal 26 gennaio al 17 marzo, dedicata a Greta Schödl, grande artista e performer austriaca: si intitola «Greta Schodl. Il tempo non esiste» ed è curata da me e Valentina Rossi. Il titolo è una citazione dell’artista, rimanda alla sua idea dell’inesistenza del concetto di tempo. Dopo la mostra del 2022 alla galleria Labs, questa è la prima mostra dedicata da un’istituzione bolognese a Schödl, nata a Hollabrunn nel 1929, stabilitasi a Bologna dalla fine degli anni Cinquanta. In mostra sono presentati «oggetti» usati nelle sue performance degli anni ’70 e successivi; documenti originali e un interessantissimo materiale d’archivio, tra cui gli scatti di Nino Migliori durante l’azione in piazza Maggiore a Bologna nel 1978.

Preparo anche la rassegna di un grande artista negli splendidi spazi cinquecenteschi di Palazzo Buoncompagni di Bologna: dopo Pistoletto, Marini e Mondino, la Fondazione Palazzo Buoncompagni organizza una mostra di opere di Mimmo Paladino, che si inaugura il 30 gennaio. L’artista tornerà così a esporre a Bologna, città che ha sempre amato in modo particolare e con la quale ha avuto stretti legami, dalla fraterna amicizia con Lucio Dalla alla Laurea ad honorem nel 2020. Presentiamo una ventina di importanti opere, dipinti e sculture di grandi dimensioni, particolarmente significativi della sua poetica e della sua capacità di lavorare con lo spazio: la bellissima sala delle Udienze Papali avrà al centro una monumentale installazione di tredici cavalli neri che emergono da una grande pedana quadrata posta sul pavimento. Tra le altre opere anche una nuova serie di sette Madonne nere allestite in una unica suggestiva sala.

Silvia Evangelisti. Foto © Gianni Schicchi

Stefano Luppi, 27 gennaio 2024 | © Riproduzione riservata

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