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Siena, restauri aperti per Ambrogio Lorenzetti e nel 2017 una mostra

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Laura Lombardi

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Siena. È attesa per il 2017 la grande mostra dedicata ad Ambrogio Lorenzetti, l'autore dei celeberrimi affreschi tra cui quello del Buongoverno nel Palazzo Pubblico, ma maestro in fondo poco studiato nell'insieme della sua produzione (l’ultima monografia risale ormai a vari decenni fa), che annovera opere di grande potenza, con invenzioni originali e brillanti cromatismi, spesso ignorate dal grande pubblico, come la «Maestà» nel Museo di Massa Marittima.
Ora la mostra curata da Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel intende fieramente riallacciarsi, nonostante le difficolta economiche senesi, con la grande tradizione delle mostre al Santa Maria della Scala, che ha dovuto rinunciare ai cospicui aiuti del Monte dei Paschi uniti a quelli del Comune e della Regione. Così un’importante campagna di restauri è in atto, visibile al pubblico all’interno del Complesso monumentale di Santa Maria della Scala («Ambrogio Lorenzetti. Dentro il restauro»), e altre opere sono in attesa, non rivelate dai curatori che però stanno cercando finanziamenti. Sappiamo solo che in mostra ci saranno «una tavola bellissima e lontanissima da Siena», «un ciclo di affreschi vicinissimi» e una «vetrata a mezza strada», come ha annunciato il soprintendente Alessandro Bagnoli.
Tra i restauri appena iniziati, quello degli affreschi staccati per salvarli dal forte degrado nel 1966 ad opera del restauratore Leonetto Tintori da San Galgano a Montesiepi, la chiesetta romanica posta poco lontano dalla celebre Abbazia senza tetto, ma che sono ora bisognosi di nuove cure.
Vi è inoltre il polittico («Madonna col Bambino, tra san Pietro, san Paolo, sant’Elena e san Michele Arcangelo» e una cimasa col «Redentore benedicente») proveniente dalla chiesa di San Pietro in Castelvecchio, che le fonti ricordano firmato da Ambrogio, ma privato dal suo fondo oro che fu letteralmente grattato via e poi sostituito da una cromia azzurra, ora asportata. La Madonna, che era ritratta a figura intera (iconografia insolita che univa la Maestà e la Madonna della misericordia, quella con i fedeli raccolti sotto il manto) è ora priva della parte inferiore, come pure i santi sono rimontati in maniera impropria.
Ambrogio, documentato dal 1319 al 1348, si rivela pittore davvero sui generis. Basti pensare che la «Maestà» di San Galgano aveva lo scettro e il globo terrestre e non il Bambino in grembo; iconografia che fu subito modificata, facendo aggiungere il Bambino a un altro, mediocre, pittore e togliendo alla Vergine la corona (ma si vedono ora tre mani, le due originali e una aggiunta per reggere il Bambino...). Ai piedi della Maestà c’è Eva distesa, avvolta nella pelle di capra (simbolo di lussuria) e un fico in mano, e accanto a lei una figura, forse la personificazione della Carità verso il prossimo, che regge una borsona di paglia, mentre il suo corrispettivo è una figura con il cuore in mano (la Carità verso Dio)!
Nella sinopia dell’«Annunciazione», scoperta al momento dello strappo degli affreschi del ’66, la Vergine si ritrae talmente impaurita dall'Angelo da aggrapparsi a una colonna. Una posa che scompare invece nell’opera compiuta, anch’essa aggiustata pochi mesi dopo la conclusione dell’affresco da parte di Ambrogio, facendo intervenire un pittore meno dotato.
La mostra del 2017 riserverà notevoli sorprese che verranno rivelate a poco a poco. Una grande sfida che lascia ben sperare sulla rinascita culturale della città.

Laura Lombardi, 04 dicembre 2015 | © Riproduzione riservata

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