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«The Last Wall» (2012), di Raoul De Keyser. Cortesia di David Zwirner, New York/London. Foto: Jef Van Eynde

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«The Last Wall» (2012), di Raoul De Keyser. Cortesia di David Zwirner, New York/London. Foto: Jef Van Eynde

Sempre di più le gallerie si comportano da musei

Spazi privati organizzano mostre impegnative che per l’importanza delle opere e per l’attenzione della curatela avrebbero dignità museale

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Giorgio Guglielmino

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Il 26 novembre 2016 si inaugurava nella galleria David Zwirner di Londra una mostra dedicata a Raoul De Keyser dal titolo «Drift». Il percorso era incentrato su 22 lavori creati dall’artista belga poco prima della sua morte, avvenuta nel 2012. Tale serie, che si trovava allineata su una parete dello studio di De Keyser al momento della sua morte, era nota come «The Last Wall». Da Zwirner era stata ricreata la situazione allestitiva originaria e i piccoli quadri erano stati appesi esattamente nella stessa sequenza e con la stessa distanza uno dall’altro. Visitando l’esposizione pensai che tale operazione fosse degna di un museo per la rigorosità della ricostruzione e per l’attenzione riservata ai particolari. Se vi fosse stata una retrospettiva dell’autore in una grande istituzione, quella sala sarebbe stata una delle più apprezzate.

Da allora sempre più spesso mi è capitato di visitare in gallerie private mostre che ogni museo avrebbe voluto, e forse dovuto, esporre. Se non lo ha fatto è perché i musei hanno bisogno di sponsor e questi ultimi vogliono i grandi nomi che attirano pubblico e creano file alle biglietterie. Senza gli sponsor, infatti, non hanno i mezzi finanziari per mettere liberamente in piedi ciò che vogliono, mentre le gallerie, che sponsorizzazioni non ne hanno, possibilmente si basano sui profitti delle vendite milionarie, e questo fornisce loro un’assoluta libertà di azione all’interno della programmazione.

I megaspazi (Zwirner, Hauser & Wirth e Thaddaeus Ropac sono i tre principali protagonisti di questo tipo di operazioni) con tali mostre, che spesso non sono le più «vendibili», desiderano distaccarsi dall’immagine commerciale di puro profitto per presentarsi in veste di promotori di cultura a tutto tondo. In questo inizio di anno sono già diverse le mostre che si potrebbero iscrivere in questa categoria di chicche museali all’interno di spazi privati.

Si è chiusa lo scorso 3 febbraio a New York da David Zwirner una splendida mostra storica di opere di Robert Ryman, comprese tra il 1960 e il 1964, curata da Dieter Schwarz. La mostra includeva numerosi prestiti e gran parte delle opere non era in vendita (quasi una contraddizione per una realtà commerciale). Hauser & Wirth dedicherà quest’anno una mostra allo scultore basco Eduardo Chillida, in collaborazione con la Fondazione che cura l’opera dell’artista, in occasione del centenario della nascita. La mostra che si terrà dall’11 maggio al 27 ottobre godrà di una location particolarmente suggestiva: Illa del Rei, piccola isola di proprietà della galleria in un’insenatura di Minorca, nell’arcipelago delle Baleari. Thaddaeus Ropac, dal canto suo, dopo aver presentato una vera e propria «delizia» a Londra, una mostra dedicata esclusivamente alla serie di ritratti di Joseph Beuys eseguiti da Andy Warhol, sta ora esponendo a Salisburgo (fino al 13 marzo) una rara serie di fotografie di Irving Penn scattate nel 1967 intitolata «The Bath», unitamente, come ciliegina sulla torta, a uno dei pochissimi dipinti eseguiti dal fotografo americano.

Caratteristica di queste mostre è la presentazione di insiemi di lavori storici quando «communis opinio» è che le gallerie dovrebbero dedicarsi a esporre la più recente produzione degli artisti rappresentati. Le istituzioni artistiche sembrano perdere un po’ il passo, e forse anche la passione, per le piccole cose di grande qualità. Per fare un paragone con l’industria del cinema potremmo dire che i musei assomigliano sempre più alle multisale che proiettano blockbuster mentre alcune selezionate gallerie sono assimilabili alle sale indipendenti, quasi cinema d’essai. Queste realtà vivono ovviamente del profitto derivante dalle vendite, ma il gusto e la vivacità intellettuale dei loro proprietari le trasforma in veri e propri spazi di cultura che offrono esposizioni di elevatissimo livello. C’è da aggiungere un dettaglio non secondario per il pubblico: che le gallerie, a differenza delle mostre temporanee nei musei, si possono visitare senza l’acquisto spesso ormai molto oneroso di biglietti d’ingresso.

«The Last Wall» (2012), di Raoul De Keyser. Cortesia di David Zwirner, New York/London. Foto: Jef Van Eynde

Giorgio Guglielmino, 08 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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