Luca Beatrice
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Joe Wright, regista di «M. Il figlio del secolo», la serie tratta dal primo dei quattro romanzi saga di Antonio Scurati, presentata in anteprima alla Mostra del Cinema e che sarà trasmessa su Sky a inizio 2025, ha dichiarato che il fascismo è l’incarnazione della mascolinità tossica. Eppure, la sua rappresentazione di Margherita Sarfatti si accompagna alla medesima logica iconografica: un’amante viziata o poco più, la sola a soddisfarne gli appetiti sessuali prima dell’arrivo di Claretta Petacci che infatti la detestava. Lei invece era molto ma molto di più. Della Sarfatti animatrice del cenacolo milanese in corso Venezia, della giornalista culturale, della fondatrice del Gruppo del Novecento, della principale sostenitrice della pittura italiana all’estero, prima e unica critica militante del XX secolo, nel film non c’è traccia. Resta la prima concubina, troppo poco.
Gli sceneggiatori non sono storici dell’arte, proprio per questo dovrebbero avvalersi della loro (della nostra) collaborazione, basta chiedere. Unico contatto con l’ambiente culturale del tempo, la presenza a una festa di Marinetti, mentre a Sarfatti del Futurismo ormai non importava, essendo proiettata verso una nuova generazione di pittori puri e figurativi, Funi, Tosi, Malerba, Marussig, Sironi, Oppi, degli scultori emergenti come un certo Arturo Martini e persino del Fontana giovane. Stagione straordinaria dell’arte italiana che prenderà forma definitiva nelle Quadriennali degli anni ’30.
Niente di male, «M. Il figlio del secolo» non è una storia sull’arte ma un potentissimo biopic grottesco, grandguignolesco, eccessivo, un rave party sull’ascesa del duce, contraddittorio e urticante. Da vedere assolutamente, però su Margherita Sarfatti ci si doveva informare meglio, altrimenti vien sempre fuori la versione maschilista che in tanti criticano, difetto del fascismo transitato ovunque, a destra e a manca.
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