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Museo delle Mura nella Porta di San Sebastiano a Roma

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Museo delle Mura nella Porta di San Sebastiano a Roma

Roma è piena di cantieri nei quali tutto si fa meno che manutenzione e conservazione

Il re nudo • Prima di smantellare e demolire, urge per il bene del monumento un progetto meditato, condiviso e svincolato dalla politica (e dai soldi)

Francesco Scoppola

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Il soffio del crollo della Torre dei Conti a Roma, oltre a uccidere e ad alzare un polverone, coi dubbi su scavi in aderenza e subsidenza (come già per il Campanile di San Marco a Venezia), fa sventolare anche altri vessilli su altri monumenti. Al Museo delle Mura, tra Porta San Sebastiano e Porta Latina, lungo il tracciato della cinta fortificata, si stanno montando impalcature per un tratto di quasi mezzo chilometro, sui due lati. Se si considera l’altezza (maggiore sul fronte esterno, diversa e ridotta all’interno, ma con incremento di superficie nelle torri), si tratta di circa 10mila metri quadrati, un ettaro di superficie. Potrebbe apparire un esempio rassicurante, ma pare che sinora si facciano lavori di consolidamento superficiale non solo con rischio di perdita dei giunti originali di malta (come in tante altre occasioni ha notato l’archeologo Federico Guidobaldi), ma soprattutto senza affrontare in maniera adeguata i problemi di statica connessi alla spinta dei terrapieni tra le diverse quote: in caso di piogge ingenti e prolungate, le mura diventano di fatto una diga. Sono criticità che hanno già provocato crolli e rischiano di continuare a farlo. Se non che in risposta a ogni osservazione, vi sono diffuse tentazioni, già nel riportarla, di esagerare le interpretazioni in chiave conflittuale, quasi che non vi fosse altro modo di fare notizia se non col litigio. 

A proposito del duplice crollo della Torre dei Conti e delle tragiche conseguenze che ha determinato, varie notazioni di critica costruttiva nei confronti del Comune e del Ministero sono state da più parti espresse, nella concitazione del momento, non per fare polemica, ma avendo constatato quanto sta avvenendo, in conseguenza alla scelta di spendere somme di denaro pubblico difficilmente spendibili nei tempi concessi. Fretta che pare ad alcuni di poter intravedere anche nella ricerca di risorse, talora attraverso progetti non adeguatamente meditati e condivisi con la pubblica opinione. 

Ma non è solo l’operato recente del Comune ad aver avvertito questa eco dei crolli. Nel caso dell’Amministrazione dello Stato per i beni culturali, gran parte dell’organizzazione espositiva permanente del Museo Nazionale Romano era già stata destinata allo smantellamento e lo rimane tuttora, vetrine incluse: sembra che tutto si muova secondo il criterio dell’agevole praticabilità di una rapida spesa. Per velocizzare si continua a non considerare o a ignorare la tecnica dell’impegno indiretto dei fondi, che possono essere destinati alle medesime finalità, ma con un’intermediazione di assicurazione o di credito e non direttamente a compensare l’opera dei cantieri. Ad esempio, abbiamo già perduto il Museo di Protostoria, che si estendeva per un ampio tratto del Chiostro «di Michelangelo» della Certosa sorta sulle Terme di Diocleziano. Parimenti è andato distrutto il Museo realizzato alla Crypta Balbi: sparito ogni supporto (erano vetrine di pregio) è ancora in corso la demolizione edilizia. Vedere per credere, e udire il rombo, ogni volta che vengono scaricati a terra, all’esterno, i resti delle sale allestite per il Giubileo del 2000. Senza che vi siano un programma o un progetto noti, né un finanziamento per il riallestimento. 

All’esito del Pnrr resteremo con un Museo chiuso nelle sue quattro diverse sedi. Ora, mutata la dirigenza, con Federica Rinaldi è possibile proporre una rimodulazione degli interventi. Non si tratta solo di Roma: pensiamo al cantiere di abbattimento delle barriere architettoniche sull’Arco di Costantino a Malborghetto oppure al futuro destino del Museo Archeologico di Perugia. Stato o Comune, la tendenza al variare dei committenti non cambia: Roma è piena di cantieri nei quali tutto si fa meno che manutenzione e conservazione. Se si lavora, si opta in prevalenza per demolizioni col rischio di danni. Costruire e riparare è sicuramente più complesso e impegnativo. Le autorità sottolineano una capacità di spesa superiore a quella di altri Paesi, ma si tratta di somme che dovremo restituire. Sono i motivi per cui parrebbe opportuno, quando si manifestano gravi criticità che nessuno avrebbe voluto, poter esprimere anche qualche considerazione, in spirito di servizio e costruttivo, senza fazioni (il Comune e il Ministero hanno orientamenti politici differenti), ma senza remore.

Francesco Scoppola, 12 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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