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Quel Monet che non piace ai Wildenstein

Quel Monet che non piace ai Wildenstein

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Georgina Adam

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Hanno vinto la causa: non sono tenuti a riconoscere autentico un dipinto dalla discussa autografia

In gennaio, mentre Guy Wildenstein si preparava alla difesa dalle accuse di evasione fiscale e riciclaggio a Parigi, un altro tribunale francese emetteva una sentenza definitiva su un Monet oggetto di un’accesa battaglia in merito alla sua autenticità tra il suo proprietario, David Joel, e il Wildenstein Institute. La corte ha respinto il tentativo di Joel di ottenere che l’istituto includesse il dipinto nel suo catalogo ragionato delle opere di Monet.

Joel era ricorso all’aiuto del programma della Bbc «Fake or Fortune?» per provare che l’opera, «Bords de la Seine à Argenteuil», datata 1875 sulla cornice, fosse di Claude Monet. La puntata andò in onda nel giugno del 2011.

Joel, oggi prossimo ai novant’anni, aveva acquistato privatamente il dipinto per l’equivalente di 50mila euro nel 1993, ed è convinto che sia «buono». Invece, Daniel Wildenstein, il padre di Guy, l’aveva scartato nel 1982 quando gli era stato proposto da Christie’s. Era stato escluso dal catalogo ragionato delle opere di Monet, compilato dal non profit Wildenstein Institute. Prima che Joel acquistasse il dipinto, era stato offerto all’asta ma era rimasto invenduto.

Il programma della Bbc ha fornito prove consistenti per dimostrare che l’opera era stata effettivamente dipinta da Monet, reperendo addirittura un’illustrazione pubblicata nel necrologio di Monet su «Le Figaro». Ha svelato anche una provenienza che risaliva al mercante dell’artista Georges Petit. La sua fiducia sull’autenticità del quadro è stata confermata da eminenti specialisti tra cui lo scomparso John House del Courtauld Institute e Paul Hayes Tucker.

I produttori del programma trasmisero i loro risultati al Wildenstein Institute. Quando l’istituto li rifiutò, Joel si rivolse al tribunale nel tentativo di forzare l’inclusione del dipinto nel catalogo ragionato. Perse la causa nel 2014 e, il mese scorso, la Corte d’Appello ha confermato quella decisione.

Il giudice ha ribadito che la corte non avrebbe deliberato in merito all’autenticità dell’opera, ma solo sul fatto che gli autori del catalogo fossero o meno tenuti a includere un dipinto del quale non erano convinti. La corte ha riconosciuto a Guy Wildenstein e all’istituto danni per 10mila euro (ne avevano richiesti 120mila). A Joel è stato anche imposto il pagamento delle sue spese legali.

Le opinioni sul dipinto restano controverse. La corte ha citato Joachim Pissarro, Charles Stuckey e Richard Brettell come persone che non credevano nella sua autenticità. Sul quotidiano «The Guardian» Waldemar Januszczak ha scritto: «Ciò che nessuno sembra disposto ad ammettere è che il Wildenstein Institute abbia ragione… Numerosi falsi di Monet erano già in circolazione durante la vita dell’artista. E, sfortunatamente, il suo poco scrupoloso mercante, Georges Petit, era assolutamente capace di vendere dubbi Monet». 
Altri, tra cui lo storico dell’arte Bendor Grosvenor, che ha collaborato al programma, sono convinti della sua autenticità.

 

Georgina Adam, 03 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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