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Quando anche il catalogo è un’opera d’arte

Antonio Aimi

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L’accuratissima presentazione delle aste etnografiche ha portato a prezzi notevoli. Sotheby’s e Christie’s totalizzano oltre 10 milioni 

Dato che da qualche tempo nel mercato di arte etnica la proprietà transitiva e il pedigree dei reperti si sono affiancati con prepotenza alle qualità formali dei reperti stessi, per commentare l’andamento delle vendite occorre di nuovo esaminare le tecniche di marketing delle grandi case d’asta. Commentando questi aspetti su «Il Giornale dell’arte» dello scorso gennaio avevamo scritto che sembrava che Christie’s e Sotheby’s avessero «imboccato strade diverse nella vendita e nella stessa percezione dell’arte “altra”»; le aste di New York del 7 e del 12 maggio, tuttavia, sembrano mostrare che i due percorsi si sono ricomposti, anche perché è ovvio che con i nouveau riche del collezionismo l’understatement e il basso profilo non pagano.

Nella sostanza Christie’s e Sotheby’s si sono presentate all’appuntamento di primavera con proposte molto simili: pochi pezzi molto selezionati e cataloghi che cercano di essere vere e proprie opere d’arte. Christie’s ha pubblicato «Evolution of Form»; Sotheby’s «Malcolm volume I». Entrambi sono corredati da schede che sono veri e propri saggi e da fotografie tese a mostrare sia le molteplici corrispondenze tra l’arte etnica e le diverse correnti dell’arte moderna, sia l’«aura» di cui i reperti si sono impregnati nei salotti e negli atelier dei grandi. Confrontandoli, non c’è dubbio che il primo sia molto più bello (ma qui è opportuno precisare che chi scrive non ha potuto vedere la versione cartacea del secondo, che, a volte, è molto più ricca del file Pdf).

Al di là delle tecniche di marketing, poi, resistono sordi e testardi gli oggetti: dieci per Christie’s e dodici per Sotheby’s. Il fatturato complessivo è stato di 4,42 milioni di euro per la prima e di 5,73 milioni per la seconda. Anche se con così pochi pezzi le percentuali perdono importanza, si può comunque osservare che il venduto, per numero e per valore, ha raggiunto il 64% e il 71% per Christie’s e il 91,7% e il 97,7% per Sotheby’s. I top lot sono stati una maternità Kongo-Yombé venduta da Sotheby’s a 2,85 milioni di euro (a partire da una stima di 1,7-2,6 milioni) e una figura Baulé venduta da Christie’s a 2,1 milioni (stesse stime del lotto precedente), che rappresenta il prezzo più alto mai raggiunto da un’opera di questa etnia in un’asta.

E che dire dei prezzi? Considerando che queste opere sono attribuite rispettivamente al Maestro di Kasadi e al Maestro di Rockefeller, si potrebbe osservare, alla luce dei risultati dei capolavori dell’arte africana negli ultimi anni, che la prima è stata venduta a un prezzo molto ragionevole e che la seconda si è avvantaggiata enormemente della proprietà transitiva del famoso collezionista di New York (tra l’altro si può ricordare che al Maestro di Kasadi sono attribuite altre nove opere, cinque tipologie analoghe e quattro maschere).

Il record assoluto delle aste di maggio, tuttavia, è stato stabilito da una statua di antenato della Nuova Irlanda, che è arrivata a 4,15 milioni di euro. Considerando che era stimata 3,5-5,2 milioni e che era stata inserita da Sotheby’s nella seconda asta del 7 maggio, quella con un catalogo «normale» e un contorno di opere «normali», verrebbe da chiedersi se non sia stata penalizzata da un marketing «normale».

Antonio Aimi, 08 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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