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«Joseph Beuys» (1980), di Andy Warhol (particolare). © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. DACS, Londra, 2023

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«Joseph Beuys» (1980), di Andy Warhol (particolare). © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. DACS, Londra, 2023

Quando Warhol incontrò Beuys

Una nuova mostra allestita presso la sede londinese di Thaddaeus Ropac racconta il legame che unì i due maestri attraverso una serie di ritratti «pop»

Gilda Bruno

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Da un lato, Andy Warhol e la sua Pop art tanto rivoluzionaria da scardinare per sempre le regole dell’arte del tempo reinterpretando oggetti d’uso comune, personaggi di spicco e aspetti della cultura popolare al di fuori del loro contesto di riferimento con tinte vivaci e una sana dose di ironia. Dall’altro, Joseph Beuys, artista multidisciplinare, speculativo e magnetico, capace di spaziare dalla sua «scultura sociale» e la performance sino all’insegnamento e alla ridefinizione del concetto stesso di arte. A unirli, un incontro casuale, quasi predestinato: era il 1979 quando i due si incrociarono per la prima volta alla Hans Mayer di Düsseldorf in occasione dell’apertura di una mostra.

Tra Warhol e Beuys, emblemi della creatività americana ed europea, rispettivamente, correva «l’aura cerimoniale di due papi rivali che si incontrano ad Avignone», scrisse David Galloway, autore, curatore, giornalista e accademico statunitense, sulla rivista «Art in America» nel luglio del 1988. Nonostante le apparenze, quel loro primo contatto non fu altro che l’inizio di una lunga serie di scambi che, nel corso degli anni, diede vita a un’amicizia fondata sul dialogo creativo e la volontà di spingersi oltre i limiti dell’immaginario convenzionale.

Già il 30 ottobre dello stesso anno, Beuys venne invitato a recarsi nella famosa Factory di Warhol, allora situata a pochi passi da Union Square Park, per permettere al pittore, artista e regista nativo di Pittsburgh di ritrarlo per celebrare la sua retrospettiva presso il Guggenheim di New York. Munito della sua Polaroid «Big Shot», Warhol scattò una delle sue fotografie più iconiche di sempre, immortalando Beuys col suo cappello di feltro e gilet in un’immagine che ne rende alla perfezione la personalità energetica e curiosa. Proprio a partire da quel ritratto, tra il 1980 e il 1986, lo stesso Warhol sviluppò una collezione di stampe serigrafate, oggi al centro di una nuova mostra presso la sede londinese di Thaddaeus Ropac.

Aperta al pubblico sino al 9 febbraio, «Andy Warhol: The Joseph Beuys Portraits» rappresenta un’occasione più che unica per osservare da vicino questo corpus di opere in una vetrina ispirata al loro artefice. Pur essendo ospitati all’interno delle collezioni permanenti di alcune delle istituzioni più importanti al mondo, dal MoMA di New York e il Philadelphia Museum of Art fino alla Tate di Londra, ed essendo stati esposti in precedenza presso la Galleria Lucio Amelio di Napoli, la Galerie Klüser di Monaco e il Centro d’Arte Contemporanea di Ginevra, dal 1980 a oggi, questa serie di ritratti non ha mai fatto da focus di una retrospettiva dedicata al talento controcorrente di Warhol.

Omaggio alla sua abilità di moltiplicare esponenzialmente i frutti del suo occhio innovativo, grazie al quale diede il via alla riproduzione su larga scala in campo artistico, questi ritratti ci portano nel vivo del suo processo: «Con la serigrafia, raccontava Warhol, prendi una fotografia, la ingrandisci, la trasferisci con la colla sulla seta per poi fare rotolare dell’inchiostro su di essa in modo tale che questo passi attraverso la seta ma non la colla. Così facendo la stessa immagine sarà leggermente diversa ogni volta». A detta di Beuys, Warhol era «una sorta di fantasma, dotato di spiritualità». Così, facendo leva sulla sua capacità di vedere oltre le fattezze fisiche dei propri soggetti, Warhol conquistò il mondo con ritratti che prestano fede alle innumerevoli variazioni dell’essere umano.

«Forse questa tabula rasa a cui Andy Warhol ambisce nei suoi ritratti, ipotizzò Beuys, questo vuoto e pulizia di ogni firma tradizionale è proprio ciò che consente l’ingresso di prospettive radicalmente diverse». Basta guardare all’essenza sempreverde del lascito culturale di Warhol per rendersi conto di quanto l’artista tedesco ci avesse visto lungo.

«Joseph Beuys» (1980), di Andy Warhol (particolare). © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. DACS, Londra, 2023

Gilda Bruno, 12 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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