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Lucia Monge, «Desbosque: desenterrando señales», 2021

Photo: Juan Pablo Murrugarra

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Lucia Monge, «Desbosque: desenterrando señales», 2021

Photo: Juan Pablo Murrugarra

Progettare un futuro sostenibile con «design multispecie»

Una nuova generazione di creativi attiva la simbiosi tra uomo, tecnologia e natura per dar vita a oggetti viventi, realizzati in collaborazione con muschi e funghi

Germano D’Acquisto

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Il design del futuro non si limita a immaginare oggetti o spazi da inserire nel mondo. Si immerge nella vita stessa del pianeta, ne ascolta i ritmi, ne assorbe le trasformazioni e inizia a collaborare con essa. Non si tratta di un semplice rapporto di causa-effetto, ma di una vera e propria simbiosi: tra funghi, micelio, materiali viventi e architetture multispecie, una nuova generazione di designer riscrive le regole della progettazione, trasformando il confine tra naturale e artificiale in un terreno di sperimentazione continua. Questa estetica ecologica, che mette in crisi l’idea tradizionale di autore e oggetto, sfida la nostra percezione del design come prodotto statico e dominatore, per aprirlo a una dimensione dinamica, pulsante, collaborativa. Non si tratta più solo di «disegnare per la natura», ma di «disegnare con la natura», abbracciando i suoi processi, le sue forme e le sue logiche evolutive.

Tra i pionieri di questa corrente troviamo lo studio olandese Klarenbeek & Dros (si fanno chiamare «designers of the unusual»), che ha fatto del muschio strutturale una firma poetica e scientifica. Nel loro lavoro, il muschio non è più un semplice elemento decorativo o un green touch, ma diventa un vero e proprio materiale tecnico e vitale, capace di purificare l’aria, isolare termicamente e rinfrescare gli ambienti. La loro «architettura vegetale», dal progetto Mycelium Chair fino al Diatom Glass (quest’ultimo acquisito nella collezione del Centre Pompidou e dello Stedelijk Museum Amsterdam), fonde l’artigianato con la biologia, tracciando una via nuova per il design biofilico, quello che richiama la vita nelle sue forme più essenziali e benefiche. Non molto distante, in Perù, Lucia Monge lavora su progetti che mettono le api al centro di un ecosistema di design e conservazione. Le sue installazioni e architetture multispecie non sono solo rifugi per questi insetti fondamentali per la biodiversità, ma autentici hub di interazione tra umani, piante e animali. Con un approccio che unisce etnobotanica, arte e scienza, Monge esplora come il design possa diventare strumento di dialogo tra specie, proponendo soluzioni concrete a problemi ambientali urgenti.

Ma la lista si allunga e si arricchisce di nomi che sembrano usciti da «Star Wars» eppure sono realtà tangibili e progetti concreti. Il duo di designer italo-tedesco Nunzio Indelicato & Aleksandra Staneva, ad esempio, lavora con il micelio, la rete di filamenti fungini che ha il potere di decomporre materiali tossici e trasformarli in nuove risorse. La loro ricerca è un’ode alla rigenerazione: attraverso il micelio, creano sedute, pannelli e sculture che respirano, crescono e si trasformano, abbracciando l’idea di un design vivente e in continua evoluzione.

Un struttura in vetro realizzata con la tecnologia 3D da Neri Oxman. © Chikara Inamura

Ancora, il collettivo statunitense The Living, ora parte di Autodesk, spinge il discorso oltre l’estetica e il funzionale, esplorando la bioarchitettura e la biofabbricazione. Il loro progetto più celebre, «Hy-Fi», realizzato al MoMA PS1, è una torre temporanea costruita con mattoni biologici prodotti da micelio, un materiale biologico, sostenibile e completamente compostabile. Un simbolo di come il design possa nascere da organismi viventi e restituire all’ambiente più di quanto ha preso. Un manifesto per un’architettura che si autorigenera, sostenibile fino al midollo, in grado di ridurre i rifiuti e di autosmaltirsi, riportando la materia al ciclo naturale senza lasciare traccia.

In Europa, lo studio Superlocal, fondato dal romano Andrea de Chirico, è noto per il suo approccio inclusivo e partecipativo, che combina materiali di scarto e piante autoctone per realizzare ventilatori, phon, tavoli, tappeti, casse bluetooth e, più in generale, architetture temporanee e permanenti. In un mondo che corre verso la standardizzazione, Superlocal propone un design che si adatta al territorio in cui la natura e l’uomo si sostengono a vicenda.

Infine, vale la pena soffermarsi su Neri Oxman, la pioniera del «design biomediale» e fondatrice del Mediated Matter Group al Mit. Oxman lavora a un’ibridazione radicale tra digitale, biologico e artigianale, creando oggetti e superfici che non sono mai solo materiali, ma organismi sintetici capaci di crescere, autoregolarsi e adattarsi. I suoi progetti, come «Silk Pavilion», una cupola tessuta da un robot e poi abitata da bachi da seta, dimostrano come la tecnologia possa sposarsi con la natura per generare nuove forme di vita artificiale e design multispecie. 

La natura, insomma, non è più un «altro» da dominare o contemplare da lontano, ma un partner attivo. Questo cambio di paradigma, che si potrebbe definire «design multispecie», interpella anche la nostra etica e il nostro modo di abitare il pianeta. Ci invita a ripensare l’idea stessa di autorità creativa, suggerendo una relazione meno gerarchica e più orizzontale, in cui umani, piante, funghi e insetti dialogano alla pari. Ciò che emerge è un’estetica che, pur mantenendo una raffinata eleganza visiva, non è mai fine a sé stessa. Il design ecologico è innanzitutto un gesto politico e poetico: un invito a rallentare, ad ascoltare e a immaginare nuove forme di convivenza, in cui ogni oggetto, ogni spazio, è una rete di relazioni viventi.

In un mondo che sembra correre verso l’irreversibilità del cambiamento climatico, queste pratiche rappresentano una scintilla di speranza. Come in un film in cui la sospensione tra sparo e caduta diventa attimo di grazia, così il design «con la natura» ci regala uno spazio di respiro, un invito a immaginare un futuro in cui la creatività non sia più sinonimo di controllo, ma di cura.

Strutture Light Catcher di Klarenbeek & Dros. © Klarenbeek & Dros

Un Polyspace Table di Klarenbeek & Dros. © Klarenbeek & Dros

Germano D’Acquisto, 27 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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