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Pompei, Casa del Tiaso, salone colonnato con la megalografia di II Stile (40-30 a.C.)

Foto MiC Parco Archeologico di Pompei

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Pompei, Casa del Tiaso, salone colonnato con la megalografia di II Stile (40-30 a.C.)

Foto MiC Parco Archeologico di Pompei

Pompei: la megalografia della Casa del Tiaso

Sono nove le megalografie giunteci dall’antichità: quest’ultima, risalente al 40-30 a.C. e ascrivibile al II Stile, si sarebbe ispirata alla decorazione della Villa dei Papiri di Ercolano e richiama il tiaso dionisiaco della Villa dei Misteri alle porte della città

Gli scavi promossi dal Parco Archeologico di Pompei nell’Insula 10, Regio IX, si sono conclusi con la scoperta di una sala da banchetto decorata da una megalografia dionisiaca. 

Il termine «megalographia» ricorre per la prima volta nell’opera di Vitruvio e indica dei fregi dipinti con figure a grandezza naturale. Per comprendere l’eccezionalità di questa scoperta basti pensare che sono soltanto nove le megalografie giunteci dall’antichità e, di queste, sei vengono da Pompei e dalle ville del suo territorio, due dal Golfo di Napoli (Ercolano, Baia) e un’ultima da Arles in Francia. Il significato di queste megalografie è volutamente sfuggente e il dibattito scientifico moderno conta centinaia di diverse interpretazioni in chiave artistica, storica, religiosa, culturale e sociologica. 

Il direttore del Parco Gabriel Zuchtriegel ha proposto una lettura preliminare della megalografia ora riemersa, che non mancherà di stimolare la discussione scientifica. Il breve discorso che qui si presenta verte sull’inquadramento dello sfondo storico, artistico e culturale nel quale la megalografia della Casa del Tiaso, nonostante le sue specificità, si colloca. La decorazione della stanza si può datare nella seconda metà del I secolo a.C., nello specifico nel decennio 40-30 a.C. Sono questi gli anni del secondo triumvirato, tra Ottaviano, Antonio e Lepido, che preludono alla sanguinosa guerra civile, che terminerà soltanto nel 31 a.C. con la battaglia di Azio, la presa di potere da parte di Augusto e la conquista dell’Egitto. 

In questa fase così drammatica per la storia di Roma la decorazione pittorica di case e ville coniuga insieme l’imitazione dell’architettura, che era stata caratteristica dominante della fase iniziale del cosiddetto II Stile, ed elementi figurati, pressoché assenti nella fase precedente. 

Fig. 1: Pompei, Casa del Tiaso, salone colonnato, parete nord: baccante trucidatrice con una spada e un oggetto che può essere identificato con le interiora di un animale (cinghiale o cervo?). Foto: MiC Parco Archeologico di Pompei

Fig. 2: Una delle figure nel salone della casa dell’Ins. Occ. VI 17, 10, a Pompei

Le tematiche proposte esprimono un desiderio di evasione dalla realtà quotidiana, la proiezione in una dimensione mitica e l’allusione ai piaceri della vita agiata e al lusso. La stanza della megalografia è immaginata come rivestita di porfido, prezioso materiale proveniente dall’Egitto, imitato sia nello stucco delle colonne reali che nelle membrature dipinte sulle pareti (fig. 1). La stessa soluzione viene adottata in quegli stessi anni per la decorazione di un minuscolo cubicolo della vicina Casa del Sacello Iliaco. Le figure che popolano la megalografia sono rappresentate come statue su piedistalli, ma la loro vivace policromia e l’esasperato movimento ce le fanno percepire come statue vive (fig. 1). Esse ricordano altre statue, che sembrano pronte a prender vita, che decoravano uno splendido salone della casa dell’Ins. Occ. VI 17, 10 (fig. 2). Il dettaglio delle basi per statue consente ora di ricostruire lo schema originario della megalografia della Villa dei Papiri a Ercolano. Anche qui, infatti, lo zoccolo esibisce una serie di piedistalli del tutto identici a quelli delle statue della Casa del Tiaso. Diverse però ne sono la qualità e la sensibilità stilistica dei pittori, come dimostra il confronto tra l’unica figura superstite della megalografia ercolanese (fig. 3) e le figure della megalografia pompeiana (fig. 4). La decorazione della Villa dei Papiri, che si data negli stessi anni, può essere considerata il modello al quale si sono probabilmente ispirati i pittori della Casa del Tiaso. L’officina di pittori attiva nella villa ercolanese ha decorato infatti alcune delle più importanti case pompeiane dell’età tardo repubblicana (Casa del Criptoportico, Casa del Sacello Iliaco, Casa del Menandro). Straordinarie sono le nature morte dipinte nel fregio superiore (figg. 1, 5). Questo genere di raffigurazioni può evocare l’offerta di primizie agli dèi. Zuchtriegel ha suggerito un nesso semantico tra il fregio dionisiaco e le nature morte, che evocherebbero Dioniso come signore degli animali, cacciatore e violento dominatore della natura. Esse riflettono anche l’ideologia degli aristocratici romani e la consuetudine di offrire preziosi doni («xenia») ai propri ospiti

Fig. 3: Ercolano, figura superstite della megalografia della Villa dei Papiri

Fig. 4: Pompei, Casa del Tiaso, salone colonnato, parete ovest: baccante furiosa con un capretto sgozzato sulla spalla sinistra. Foto: MiC Parco Archeologico di Pompei

Nel fregio della Casa del Tiaso colpisce l’affollarsi di animali di ogni specie, selvatici o addomesticabili, in un vero e proprio catalogo di tutto quello che poteva essere cacciato, pescato e allevato. Ciò non può non riportare alla memoria la pubblicazione nel 37 a.C. delle Res rusticae di Varrone, il cui terzo libro è dedicato alle forme di sfruttamento dell’ecosistema del territorio come strategie economiche alternative e potenzialmente molto fruttuose della villa in campagna. Attraverso la rappresentazione della ricchezza della natura commestibile il committente romano del fregio allude quindi alle basi materiali ed economiche delle proprie fortune e al lusso sfrenato che caratterizza i banchetti dell’epoca. Ritornando al fregio dionisiaco, Zuchtriegel ha sottolineato il potere potenzialmente sovversivo di Dioniso rispetto alle convenzioni cui la matrona romana deve soggiacere, nel suo ruolo di moglie e sposa. 

Nella celebre megalografia della Villa dei Misteri la donna iniziata ai misteri dionisiaci è in bilico tra il ruolo rassicurante di futura sposa, sotto la protezione e la guida di Afrodite, e la temporanea condizione destabilizzante dell’estasi dionisiaca. Nella megalografia della Casa del Tiaso la matrona, raffigurata al centro del fregio, rivolge il proprio sguardo allo spettatore, prima di trasformarsi in baccante e lasciarsi condurre da un sileno nel mondo selvaggio del dio (fig. 5). A distanza di quasi cento anni, è Dioniso stesso che ci guarda dalle pareti di un altro salone per banchetti, dove egli è raffigurato in un inedito trionfo, come un condottiero vittorioso, le cui imprese vengono incise da una Vittoria sul dorso di uno scudo. 

Fig. 5: Pompei, Casa del Tiaso, salone colonnato, parete nord: sileno con donna. Foto: MiC Parco Archeologico di Pompei

Fig. 6: Pompei, Villa dei Misteri, Eracle seminudo ebbro sostenuto da un vecchio dall’aspetto silenico

Sulla parete opposta della stessa sala, un Dioniso fanciullo è tenuto tra le braccia da un sileno su un carro trionfale, trainato da buoi e circondato da satiri e menadi danzanti. Il potere, da cui il dio deriva i suoi trionfi, è reso esplicito nel terzo quadro della stanza. Vi compare Eracle, seminudo, ebbro, tanto da dover essere sorretto da un vecchio dall’aspetto silenico, il calice di vino rovesciato a terra (fig. 6). L’eroe che ha riportato l’ordine tra gli uomini con le sue celeberrime fatiche è ora novello Dioniso, con il capo coronato di pampini di vite regge nella sinistra un tirso. Lo fronteggia Onfale, la regina delle selvagge Amazzoni, che indossa la pelle del leone nemeo e tiene la clava dell’eroe, in un temporaneo sovvertimento dei ruoli che è possibile soltanto sotto il segno di Dioniso.

Questo sistema di valori, che nella Villa dei Misteri viene confinato nella parte più intima e privata della dimora, riaffiora cinquant’anni dopo nel tablino della Casa di M. Lucretius Fronto, ovvero nella stanza più pubblica di una domus romana. Il quadretto che ne orna la parete nord raffigura Venere, assisa in trono, pudicamente vestita come una matrona, che arresta il gesto languido di Marte, suo amante, che cerca di accarezzarle il seno (fig. 7). La tensione erotica dei due amanti, rimarcata dalla presenza di Eros, frutto della loro unione, al centro della scena, dinanzi al talamo dove sta per compiersi un atto fedifrago, viene castigata, sospesa in un’atmosfera d’attesa che sembra essere preludio all’unione nuziale. Sull’opposta parete è rappresentato il trionfo di Dioniso e Arianna. La coppia di sposi, ebbra e discinta, accompagnata dal corteggio di satiri e menadi già in preda all’«enthusiasmos», è distesa su un letto nuziale poggiato su di un carro trainato da una coppia di buoi (fig. 8). Anche in questo caso i ruoli vengono capovolti: gli amanti, Marte e Venere, vengono rappresentati come una coppia, quasi casta, di sposi; gli sposi, Dioniso e Arianna, sono in preda all’estasi incontrollata. L’unico segno che accomuna le due coppie è il talamo.

In una società, quale è quella dell’età giulio-claudia, sempre più bigotta, dalle aspettative frustrate, dove gli individui non sono più protagonisti diretti della vita sociale, politica e religiosa, il riaffiorare dello sguardo di Dioniso rammenta che è sempre possibile sovvertire temporaneamente l’ordine delle cose. 

Fig. 7: Pompei, Casa di M. Lucretius Fronto, tablino, parete nord: Venere assisa in trono con Marte suo amante che cerca di accarezzarle il seno

Fig. 8: Pompei, Casa di M. Lucretius Fronto, Trionfo di Dioniso e Arianna su un letto nuziale poggiato su di un carro trainato dai buoi

Domenico Esposito, 16 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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