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Più che petrolio gas tossico

Anche nel turismo l’innovazione senza efficienza fa solo danni

Bruno Zanardi

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Una bella trasmissione televisiva che si vede la domenica sera su Rai3, «I dieci comandamenti», ha mostrato una Venezia sfigurata da un turismo di massa insensato che trova epitome nel devastante effetto umano, estetico e conservativo del passaggio delle grandi navi per la città.

Lo stesso sta accadendo a Firenze, anch’essa assediata da orde di turisti in ciabatte e canottiera che si tenta di non far bivaccare sui sagrati delle chiese e i sedili dei palazzi innaffiandoli con acqua così chi si siede si bagna il culo. 

Un gravissimo inquinamento antropico rispetto al quale i gas serra sono una bazzecola, quello che sta colpendo l’Italia e che è effetto della recente voga dell’economia dei beni culturali, quella che vede nel patrimonio artistico «il petrolio d’Italia». Tutti sicuri, politici, professori, giornalisti eccetera, che soprintendenti e direttori dei musei siano in grado di tenere sotto controllo la situazione.

Vediamo allora nel concreto due esempi del magistero organizzativo e tecnico-scientifico dei funzionari dello Stato addetti alla tutela. Renata Codello, direttrice del Segretariato regionale del Mistero dei Beni e delle Attività culturali per il Veneto, cioè colei che permette alle grandi navi di passeggiare per la città, ha recentemente dichiarato al «Corriere della Sera», circa i molti veneziani che, disperati, vanno ad abitare altrove: «È vero, ma ci sono anche fenomeni nuovi. Quindici anni fa non si trovava a Venezia un supermercato, adesso sì».

Mentre il direttore straniero di un grande museo dell’Italia centrale (Peter Aufreiter, Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, Ndr), dopo il fallimento di pubblico d’una sua mostra sui giocattoli d’un cinquecentesco «duca bambino», si è lamentato con la stampa locale in una lingua da Sturmtruppen dicendo che lui non riesce a lanciare turisticamente il museo perché i suoi funzionari non parlano il tedesco e l’inglese, bensì l’italiano.

Aurelio Peccei, manager eminente di Olivetti e Fiat, fondatore nel 1968, con il Massachusetts Institute of Technology, del Club di Roma e uno degli «eroi borghesi» dell’Italia repubblicana, in un convegno tenuto anni fa, credo, alla Fondazione Volkswagen, ebbe modo di avvertire che «gli innovatori mai devono dimenticare che l’innovazione senza efficienza può fare grandi danni». Quindi benissimo l’economia dei beni culturali, ma con innovatori efficienti e preparati. Quelli che il Paese non ha.

Bruno Zanardi, 09 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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