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Per l’interpretazione contro la pedanteria

Michele Dantini riflette sul ruolo critico delle discipline umanistiche

Patrizia Zambrano

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«Il trasferimento a Londra comportò inevitabilmente una crescente normalizzazione degli studi storico artistici nel senso di ciò che, se mi è possibile, vorrei chiamare uno stile cognitivo anglosassone. Questi studi diventarono più filologici sotto tutti i punti di vista, più monografici e istituzionali. Meno selvaggi. Personalmente mi trovo più a mio agio recuperando il 1930». Così Michael Baxandall commenta le conseguenze del trasferimento della Biblioteca Warburg da Amburgo a Londra nel 1933. Michele Dantini accoglie lo spunto di Baxandall non solo «recuperando il 1930», ma risalendo lungo il percorso dello sviluppo di quella tradizione culturale di cui lo studioso inglese fu l’ultimo protagonista e testimone. I primi cinque capitoli del libro sono infatti dedicati a Erwin Panofsky, Aby Waburg, Ernst Gombrich e al loro rapporto con la riflessione filosofica tardo ottocentesca e di inizio Novecento nel cui orizzonte si staglia Nietzsche con il pensiero del quale ognuno degli studiosi ha relazioni più o meno dirette, esplicite e profonde. Il corpus delle note scende in profondità e racchiude amplificazioni e ulteriori esplorazioni che costituiscono materia di pagine a venire.

Se la seconda metà del libro presenta tre saggi dedicati a Duchamp, Manzoni e Le Corbusier, il penultimo, Arte italiana postbellica. Conversazioni atlantiche, serve a riflettere sul tema dei rapporti culturali Italia-Usa nel dopoguerra, ma anche sul ruolo di una eredità culturale giocata in termini di citazione come tratto «distintivo di una intera generazione» e vissuta forse anche come strategia di resistenza latente a forme di dominazione simbolica. Il volume si chiude con Dieci libri contro la pedanteria, suggerimenti per letture che, scrive Dantini, «educhino bene a quella difficile arte dell’erudizione congiunta a pensiero critico cui mi riferisco con insistenza, e che in un’occasione Foucault ha definito erudizione inflessibile». Il ruolo dell’educazione sottende e percorre in realtà tutta la trattazione e ne è la chiave di lettura più profonda in quanto riguarda la sfera pubblica, non dell’arte, ma della sua enunciazione/divulgazione.

Sebbene Dantini faccia riferimento all’invito posto alle discipline umanistiche, negli ultimi anni, a giustificare la loro stessa esistenza, in realtà tutto il testo punta a qualcosa di molto più profondo: la ricostruzione della riflessione otto e novecentesca sul rapporto tra visibile e verbale. Non è solo il problema della eventuale attualità e validità dell’ecfrasi ma la possibilità stessa, per lo storico dell’arte, di aprire bocca (o scrivere) ed esprimersi sensatamente.

Ancora di più, nelle pagine del capitolo dedicato a Nietzsche, Burckhardt, Panofsky, Warburg (e Gombrich), Dantini fa emergere la dialettica inerente a «un piano più originario, che precede la forma scritta e riguarda il paradossale rapporto tra l’interprete e le sue fonti». Dunque al centro del libro sta il tema dell’interpretazione come nesso essenziale della cultura europea del Novecento. Accanto a questo, quello dell’influsso che l’arte contemporanea e la storia politica ebbero, più o meno coscientemente in ognuno dei protagonisti, nello sviluppo del pensiero critico del secolo.

Le due figure che Dantini indica come riferimento sono Michael Baxandall e Roberto Longhi.Questo nome potrebbe sorprendere, tuttavia l’argomentazione portata mette Longhi all’interno del dibattito a partire dalla sua definizione dell’opera d’arte come liberazione/lacerazione. Se l’apparire dell’opera è traumatico e liberatorio, è infatti compito dell’interprete provvedere al suo intendimento terreno e «Un simile prodigio di conciliazione riesce raramente: sempre e solo al termine di uno scrupoloso itinerario di studio e conoscenza, sul presupposto, a tratti torturante, di un’allarmata responsabilità storico-filologica». Al tempo stesso «l’ecfrasi longhiana capta il miraggio che sta dietro l’opera, la stendhaliana promessa di felicità; e lo scarica nel presente, investendo la vita dell’interprete; non all’indietro, nella preistoria precritica da cui l’opera stessa, a mo’ di obliosa rovina, proviene». 

Arte e sfera pubblica. Il ruolo critico delle discipline umanistiche
di Michele Dantini
408 pp., ill.
Donzelli, Roma 2016
€ 37,00

Patrizia Zambrano, 11 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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