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«Engelssturz» (Caduta dell’angelo; 2022-23), di Anselm Kiefer (particolare). © Anselm Kiefer. Foto: Georges Poncet

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«Engelssturz» (Caduta dell’angelo; 2022-23), di Anselm Kiefer (particolare). © Anselm Kiefer. Foto: Georges Poncet

Per Kiefer gli angeli caduti siamo noi

In una grande mostra a Palazzo Strozzi dipinti, sculture e installazioni dell’artista tedesco, in dialogo con l’architettura rinascimentale della sede, indagano i temi della memoria, della storia e della guerra

Arturo Galansino

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Anselm Kiefer ha lavorato a Palazzo Strozzi realizzando un progetto espositivo totalmente nuovo che esalta la forte vitalità della sua arte. Come uno dei massimi artisti viventi, la sua ricerca attinge dalla letteratura, dalla filosofia e dalla storia, in una riflessione sempre tesa alla dimensione sull’essere umano (la mostra «Anselm Kiefer. Angeli caduti», a cura di Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, e allestita dal 22 marzo al 21 luglio, Ndr). A Palazzo Strozzi le sue opere sono messe in dialogo con l’architettura rinascimentale, amplificando le stratificazioni dei loro significati intorno a temi come la memoria, la storia e la guerra. La mostra diviene un invito a tutti visitatori a investigare la complessità dell’esistenza tra passato, presente e futuro e nella dialettica tra spiritualità e materialità.

Gli «angeli caduti» costituiscono il filo conduttore dell’intera mostra, concepita da Kiefer intorno a questo tema. Le opere, pur coinvolgendo personalità diverse, epoche lontane e culture differenti, sono tutte accomunate dal soggetto, a partire da «Engelssturz» («Caduta dell’angelo», 2022-23), nuova monumentale opera creata per il cortile, e dal dipinto «Luzifer» («Lucifero», 2012-23) che apre il percorso al Piano nobile. L’artista esplora la dualità tra l’essenza spirituale dell’anima e la sua incarnazione nella materia, sottolineando come gli «angeli caduti» attraversino il confine tra spiritualità e materialità. Le ali in Kiefer richiamano anche il mito di Icaro, che rappresenta il desiderio dell’uomo di andare oltre il proprio limite, la scelta di ignorare il pericolo sfidandolo. Sia in Lucifero sia in Icaro le ali rappresentano ribellione ed eroica sfida, ma ne mostrano anche le tragiche conseguenze. Nel caso di Lucifero le ali riflettono la sua natura angelica, il suo orgoglio e la sua caduta, mentre in Icaro simboleggiano l’ambizione umana e mettono in guardia dal pericolo dell’hybris.

Vittima della sua spregiudicatezza e tracotanza fu anche Eliogabalo, imperatore romano dal 218 al 222 d.C., citato in mostra in due grandi tele inedite. Primario riferimento di Kiefer è al romanzo-saggio Héliogabale ou l’anarchiste couronné (Eliogabalo o l’anarchico incoronato, 1934) che il drammaturgo, attore e regista Antonin Artaud ha dedicato a questa figura, che cercò di imporre il culto di Baal, dio solare, come religione di Stato, ma che venne assassinato dai pretoriani, diventando simbolo della precarietà del potere. Noto per le sue azioni controverse, ha ispirato Artaud che affermò: «Io vedo in Eliogabalo non un pazzo ma un insorto». A indirizzare Kiefer a Eliogabalo, fin dagli anni Settanta, è stato anche il suo grande interesse per Jean Genet, che a lui ha intitolato la pièce teatrale «Elagabalus», da lui stesso distrutta durante l’occupazione nazista per timore di ritorsioni.

Quasi a congiungere tematicamente le tele dorate dedicate a Eliogabalo è esposta la xilografia «Sol Invictus» («Sole invitto», 1995), associata alla celebrazione della vittoria della luce nell’eterna lotta contro l’oscurità e alla concezione ciclica del tempo e della vita, in cui gli eventi si ripetono senza fine. Un uomo, l’artista, è raffigurato disteso a terra, in scorcio con le braccia leggermente aperte. Sopra di lui si innalza un girasole nella fase prossima alla raccolta: le foglie sullo stelo sono avvizzite e la corolla, appesantita, pende sul corpo immobile, su cui fa cadere i suoi semi scuri che rappresentano le costellazioni del Cosmo. Per Kiefer le piante, e in questo dipinto il girasole, rimandano agli scritti di Robert Fludd (1574-1637), il filosofo, medico, occultista e alchimista inglese, secondo il quale ogni pianta ha un equivalente stellare nel firmamento. Si compie così il legame tra il mondo terreno, il microcosmo, e quello celeste, il macrocosmo, secondo un pensiero riconducibile a Platone.

Kiefer sostiene che «la pittura è filosofia», e una granda sala dell’esposizione è incentrata su questa disciplina che da sempre permea il suo lavoro. Tre grandi tele inedite esposte a Palazzo Strozzi rappresentano figure di filosofi antichi, da Eraclito ed Epicuro a Platone e Aristotele, seguendo il percorso dell’evoluzione dinamica del pensiero antico nel corso del tempo: un’interconnessione di idee e influenze che dimostra la vitalità di un dialogo che supera le barriere temporali, arricchendo costantemente la comprensione umana della realtà. Questi lavori si integrano armoniosamente e concettualmente nella misurata e razionale architettura rinascimentale di Palazzo Strozzi, una prospettiva che affonda le radici nel pensiero del sofista greco Protagora, cui è attribuita l’affermazione secondo cui «l’uomo è misura di tutte le cose».

Insieme alla pittura, la mostra accoglie anche sculture e installazioni. Tra queste una serie delle celebri vetrine, una tipologia di opere che Kiefer utilizza dalla fine degli anni Ottanta e che rappresentano una parte significativa del suo lavoro, in cui l’artista inserisce una varietà di materiali, oggetti e scritte che suggeriscono riferimenti letterari, storici o filosofici. In queste teche il vetro funge da membrana che, come spiega l’artista, «è in qualche modo una pelle semipermeabile che collega l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica». Allo stesso tempo, le vetrine rafforzano i temi dell’alienazione e dell’isolamento presenti nell’opera di Kiefer. Lo spettatore è costretto a confrontarsi con l’opera da una distanza, incoraggiato a riflettere sui diversi mondi e simbolismi che convergono nell’immaginario kieferiano, come il misticismo ebraico, la mitologia classica e quella nordica.

Fondamentale nella mostra è inoltre l’esaltazione del rapporto di Kiefer con la letteratura e i suoi autori preferiti: Paul Celan, Ingeborg Bachman, Louis-Ferdinand Céline, Velimir Chlebnikov, Pierre Corneille, Raymond Russel, Victor Hugo, solo per citarne alcuni. La poesia, in particolare, è stata una delle sue principali fonti di ispirazione. In gioventù, l’artista ha oscillato tra la passione per la scrittura e quella per la pittura. Anche se quest’ultima ha prevalso, la sua inclinazione per la scrittura ha sempre occupato un ruolo centrale nella sua narrazione creativa. Nel corso degli anni, Kiefer ha tenuto dei diari in cui ha scritto i suoi pensieri e le sue riflessioni intime su temi che poi ha esplorato attraverso la pittura e la scultura.

La mostra si chiude con tre celebri versi del poeta Salvatore Quasimodo, vergati di sua mano su una parete della sala: «Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera». Questa scelta ribadisce l’importanza della parola nella pratica artistica di Kiefer ma mirano anche a esprimere concetti come la solitudine, la lotta per una felicità fugace e il soccombere nella morte: temi tanto legati alle tragedie della storia quanto alla condizione esistenziale degli esseri umani, gli «angeli caduti» evocati dal titolo della mostra.

Leggi anche:
Anselm Kiefer: l’angelo della pittura ha le ali di piombo
 

Arturo Galansino, 20 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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