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«Untitled» (2023) di Thea Djordjadze © Thea Djordjadze / VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Cortesia dell’artista e di Sprüth Magers. Foto We Document Art

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«Untitled» (2023) di Thea Djordjadze © Thea Djordjadze / VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Cortesia dell’artista e di Sprüth Magers. Foto We Document Art

Per Djordjadze tutto è connesso

Nella sede londinese di Sprüth Magers apre la nuova personale dell’artista georgiana in cui niente è immutabile

Gilda Bruno

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Nelle esili sculture di Thea Djordjadze (Tbilisi, 1971) così come nelle sue tele dall’essenza scultorea, a prevalere sembra essere la transitorietà; l’impressione che, piuttosto di essere state collocate lì con uno scopo e una visione ben precisi, le sue opere siano invece «finite» in quel luogo come per caso. È un po’ come quando, nel traslocare, vecchie cianfrusaglie dimenticate da tempo ricompaiono accanto alle stampe minuziosamente incorniciate e, fino ad allora, esposte in bella vista. A fare da padrona nei lavori della georgiana è quindi la fragilità e schiettezza, ma anche la nostalgia, propria di quei luoghi a noi più cari: siano essi ancora visitabili e palpabili con mano o solo presenti nei nostri ricordi ormai sbiaditi.

È questa la sensazione prevalente visitando «framing yours making mine», nuova mostra personale di Djordjadze, la quale  apre presso la sede londinese di Sprüth Magers il 23 febbraio (sino al 28 marzo). Concepita come un non-spazio capace di riunire il linguaggio architettonico dell’artista, i suoi cenni al design modernista e le influenze sensoriali, estetiche e culturali provenienti dal suo paese natale, l’allestimento dà vita a un effimero scambio tra opere, tinte, sagome e texture volutamente contrastanti.

Per lei, non esiste separazione tra i frutti della sua creatività (tele, scatti, lavori mixed-media e allestimenti tridimensionali) e le mura all’interno delle quali questi vengono esposti: entrambi i piani della galleria si fanno membrana permeabile in grado di rimodellare i volumi, l’interpretazione e la percezione delle sue opere. Partendo da questo presupposto, la personale vede il fondersi di un corpus precedentemente presentato lo scorso anno in occasione della sua personale «The ceiling of a courtyard» al WIELS di Bruxelles con proposte inedite. Sviluppato così da abbracciare la cornice ottocentesca dello spazio, questo dialogo tra il vecchio e il nuovo rimuove metaforicamente le barriere strutturali.

Nelle mani di Djordjadze, Sprüth Magers si trasforma infatti in una tavolozza capace di rendere il suo pensiero rarefatto sull’arte. L’autrice, infatti, concepisce i linguaggi creativi in stretta connessione tra loro, in un movimento continuo, come un tragitto, piuttosto che un punto d’arrivo. In «framing yours making mine», pareti e pavimenti, ma anche piani d’appoggio, scale, scaffali e angoli nascosti, acquisiscono una nuova funzione diventando parte di un unico racconto. Rispondendo al concetto di genius loci, le opere, fatte di legno, vetro, gesso, linoleum, acciaio inossidabile e alluminio, «ne evidenziano le peculiarità». Chiave per la comprensione della pratica dell’artista è l’idea di movimento e mozione. Djordjadze approccia infatti la scultura come un gesto, o meglio un’azione che ne provoca un’altra. I lavori in mostra implicano qualità domestiche pur rimanendo, nella loro essenza, in perenne transizione.

«Untitled» (2023) di Thea Djordjadze © Thea Djordjadze / VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Cortesia dell’artista e di Sprüth Magers. Foto We Document Art

Installation view, «the ceiling of a courtyard» Wiels, Brussels, 7 ottobre 2023–7 gennaio 2024, © Thea Djordjadze / VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Cortesia dell’artista e di Wiels e Sprüth Magers. Foto We Document Art

Gilda Bruno, 22 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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