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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliNel salone centrale del Complesso del Vittoriano, fino al 3 maggio, è in corso la mostra «Armenia. Il popolo dell’Arca», un focus su un territorio dalla cultura plurisecolare in occasione del centenario del terribile genocidio che contò quasi due milioni di morti e che tutt’oggi, fatto davvero stupefacente, non viene riconosciuto dalla Turchia. Curata dall’Unione Armeni d’Italia, con la consulenza di Vartan Karapetian e la collaborazione di istituzioni culturali sia armene sia italiane, la mostra si articola in sette sezioni ricche di una cinquantina di opere tra reperti archeologici, codici miniati, tele e stampe, oreficerie, documenti e altro. Il punto di partenza non poteva che essere la radice biblica della sua fondazione, il Diluvio Universale e l’Arca di Noè in cima al monte Ararat, sulle cui pendici nel VII secolo a.C. si formò il suo popolo. E fu proprio l’Armenia che nel 301 d.C. adottò, primo Paese al mondo, il Cristianesimo come religione di Stato. A fianco di vari capitelli cristiani, tutti di età tardoantica, interessanti i due modelli di chiesa a pianta centrale in pietra (VII e XI-XIII secolo) e il portale di chiesa in legno scolpito del 1176 del Monastero di Sevan, tutti del Museo Statale di Storia dell’Armenia di Yerevan che ha prestato molte opere. Importanti anche una serie di Vangeli e altri codici miniati concessi dal Matenadaran di Yerevan e dalla biblioteca dei Padri Mechitaristi di San Lazzaro a Venezia, tra cui il prezioso Vangelo della regina Mike datato 862 (nella foto, Vangelo di Skevra, Crocifissione, 1193, Skevra, Cilicia). Una sezione sarà dedicata alla nascita e codificazione del nuovo alfabeto armeno nel 405 d.C. ad opera del monaco Mesrop Mashtots, e poi ancora testimonianze della presenza armena in Italia, a Venezia, Roma e Napoli. Catalogo Skira.
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