«Solar compression» (2016) di Olafur Eliasson, installation view, Palazzo di Versailles. Foto Anders Sune Berg

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«Solar compression» (2016) di Olafur Eliasson, installation view, Palazzo di Versailles. Foto Anders Sune Berg

Olafur Eliasson: «Ho concepito Palazzo Strozzi come coproduttore della mostra»

Pubblichiamo in anteprima il testo scritto dall’artista per il catalogo della mostra di Firenze

Questa mostra rende possibile l’incontro tra opere d’arte, visitatori e lo stesso Palazzo Strozzi, uno straordinario edificio rinascimentale che ha viaggiato attraverso i secoli per accoglierci qui e ora, nel XXI secolo, nella veste non solo di contenitore d’arte ma di coproduttore di «Nel tuo tempo». E non è solo Palazzo Strozzi ad aver compiuto un viaggio nel tempo, anche noi in quanto visitatori abbiamo viaggiato: ciascuna versione temporale di noi, del nostro corpo e della nostra mente, è diversa dalle altre. Alle prese con i nostri viaggi individuali, con trascorsi ed esperienze diversi, ci incontriamo nel qui e ora di questa mostra.

Le opere che ho concepito specificamente per «Nel tuo tempo» si intromettono negli spazi esistenti con luci artificiali, ombre sfuggenti, riflessi, effetti moiré e colori intensi. Queste opere creano una coreografia di cui ciascuno è parte attiva, uno spettacolo di flussi e di trasformazioni spaziali, di movimenti esplorativi e momenti di contemplazione. Quali domande emergono? Quali diversi modi di sentire-muoversi-pensare esistono?

E quali tracce restano dopo che si è usciti dalla mostra? Mi pongo tali domande, e molte altre ancora, quando lavoro a un’esposizione come questa. Come si modifica la nostra idea del Palazzo quando una finestra di luce viene proiettata su una parete bianca all’interno dell’edificio? Una finestra che non offre alcuna veduta ma è essa stessa una veduta, una struttura da guardare piuttosto che traguardare.

Cosa trapela quando cerchi e ovali diventano i punti di riferimento per la navigazione spaziale di un edificio con una pianta rigidamente ortogonale? Cosa accade quando uno schermo ovale, posto orizzontalmente sopra le nostre teste, crea effetti moiré che destabilizzano il nostro equilibrio; quando lo stesso effetto marezzato emerge in una nuova opera d’arte che impiega la tecnologia della realtà virtuale generando nuovi modi di esperire lo spazio e di guardarci mentre osserviamo? In breve: cosa emerge da queste trasformazioni spaziali?

Spero di suscitare simili domande nei visitatori di questa mostra, poiché ritengo che una simile riflessione possa portarci a riconoscere il fatto che la nostra interazione consapevole e presente con gli spazi espositivi costituisce a tutti gli effetti una reinterpretazione attiva degli stessi.

Le opere stesse ci invitano a divenire consapevoli dei nostri corpi, delle nostre menti, delle nostre emozioni, a guardare dentro di noi per riflettere sul modo in cui vediamo, in cui ci muoviamo, su come trascorriamo il tempo, e pensiamo, con l’arte. Inoltre, esse ci invitano a volgere lo sguardo all’esterno, agli spazi sociali che abitiamo, permettendoci di percepire e considerare il modo in cui li occupiamo. Rendiamo percepibili gli spazi espositivi di Palazzo Strozzi grazie alla nostra presenza condivisa con altri visitatori, per quanto diverse possano essere le nostre vite.

Se grazie alla mostra «Nel tuo tempo» potremo trovare la consapevolezza del nostro ruolo attivo nella reinterpretazione di questo spazio come esperienza condivisa (in un incontro di visitatori, opere, edificio storico e istituzione vocata all’arte) allora auspico che possa costituire anche un invito a riflettere in modo analogo su altri spazi di cui facciamo parte: la famiglia, il luogo di lavoro, la comunità e la società. Essere consapevoli dei molteplici attori coinvolti in questa esperienza implica il riconoscimento della profondità e della complessità dei legami tra persone, luoghi e istituzioni, tra intenzioni e visioni, attriti e casualità.

Rifletto meglio quando sono in compagnia di altre persone. È come quando nuoto in acque agitate: l’attrito delle onde e delle correnti mi mantiene concentrato, mi tiene a galla. E in pratica è sempre stato così. Saggio le mie idee osservandole attraverso gli occhi, le menti e i corpi degli altri; mi aiuta a comprendere quello che sento, ciò che penso e quello che mi piacerebbe o non mi piacerebbe fare.

Grazie a questa esperienza mi sono persuaso che fare le cose insieme può essere significativo in molteplici modi. Questo tipo di scambio avviene quotidianamente nel mio studio. Attraverso le mani e le menti dei membri del mio team (fabbri, falegnami, artigiani, architetti, designer, cuochi e artigiani delle parole), riesco a riflettere sui materiali, sulla ricerca della forma, sulle caratteristiche di un luogo, sulle implicazioni sociali di un progetto e così via.

Nel corso degli anni ho anche tratto ispirazione da un gran numero di pensatori, ricercatori e scienziati: filosofi, antropologi, geografi culturali, biologi, botanici, ballerini, scrittori e molti altri ancora. Leggere quello che scrivono mi aiuta a esplorare il mio rapporto con il mondo circostante, con le comunità di cui faccio parte, con la società e i tempi in cui vivo. Attraverso di loro riesco a lavorare in modo da rendere visibili e percepibili queste reti e queste connessioni.

L’arte è, a mio avviso, capace di rendere esplicito ciò che è invisibile e assimilato all’ambiente naturale. Questo processo trasformativo, che coinvolge sia il corpo sia la mente, come pure la nostra sensazione di essere presenti e consapevoli, è al centro della mia pratica. Per esempio, quando stavo progettando «Nel tuo tempo» per Palazzo Strozzi, mi proponevo di concepire questo meraviglioso edificio non tanto come un ospite passivo, come uno sfondo, ma piuttosto come un co-produttore della mostra stessa. Spero infatti che le opere che ho creato permettano all’edificio di essere presente ed esplicito per voi visitatori.

Palazzo Strozzi ha compiuto un viaggio nel tempo, dalla sua origine nel Rinascimento come palazzo di proprietà della potente famiglia degli Strozzi, al suo odierno ruolo di spazio che accoglie centri di ricerca e mostre. I visitatori della mostra hanno compiuto un viaggio. Io ho compiuto un viaggio. Le mie opere hanno compiuto un viaggio. Ognuno alle prese con il proprio viaggio, ci incontriamo nel qui e ora di questa mostra. Quali futuri ci attendono? E, se è per questo, quali sono i nostri passati?

Per gentile concessione pubblichiamo in anteprima il testo scritto dall’artista per il catalogo (Marsilio Arte) della mostra di Firenze.
 

«Solar compression» (2016) di Olafur Eliasson, installation view, Palazzo di Versailles. Foto Anders Sune Berg

Olafur Eliasson, 16 settembre 2022 | © Riproduzione riservata

Olafur Eliasson: «Ho concepito Palazzo Strozzi come coproduttore della mostra» | Olafur Eliasson

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