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Olga Golubovskaja, «Festa, Olga e Alexander», 2024

© Olga Golubovskaja

Olga Golubovskaja, «Festa, Olga e Alexander», 2024

© Olga Golubovskaja

Odessa: la cultura «resiste» in tempo di guerra

Chi va nella città ucraina trova musei, teatri, sale da concerto, negozi e ristoranti aperti. Messe in sicurezza le opere dei musei, le sale vuote sono diventate un’opportunità per organizzare mostre temporanee

Micaela Zucconi

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Suscita un forte effetto di familiarità questa città nel sud dell’Ucraina, sul Mar Nero, e che la Russia vorrebbe per sé. Palazzi di architetti italiani, teatri, boulevard francesi, cattedrali, sinagoghe, una moschea. Una città europea, che delle sue architetture e dei suoi monumenti feriti dalla guerra fa un manifesto di resistenza. In questo contesto, dal 2023, il centro storico della città è diventato Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, un passo importante per future ricostruzioni. Così come conforta la presenza della European Union Advisory Mission (Euam), una missione che prepara il terreno, a livello istituzionale e di sicurezza civile, per un prossimo ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. 

Odessa (da Odisseo o dal sito greco di Odessos, al femminile per volere imperiale) deve i natali a José de Ribas, spagnolo della Napoli borbonica dalla sfolgorante carriera militare alla corte di Caterina II di Russia. La città, e porto strategico, nasce ufficialmente nel 1794. Grazie a de Ribas e al duca di Richelieu, suo successore, in pochi decenni viene forgiata da maestranze, imprenditori visionari, architetti e intellettuali, giunti dal Regno delle Due Sicilie e dal resto d’Italia. Il successivo arrivo di chi cercava fortuna nel «place to be» del momento completa l’opera. Gente delle più disparate nazionalità e religioni (con una forte comunità ebraica tuttora molto significativa), in una babele di lingue su cui predomina l’italiano fino a oltre metà dell’Ottocento. Un carattere multiculturale e multietnico sopravvissuto alla cappa del periodo sovietico. 

Da quando è iniziato il conflitto, una parte di abitanti è partita, molti però hanno scelto di non abbandonare la città. Chi va a Odessa trova musei, teatri, sale da concerto, negozi e ristoranti aperti. «La guerra distrugge i luoghi della cultura, che per questo ha oggi un’azione amplificata e, nel caos generale, sociale ed emozionale, un effetto terapeutico. Con i miei collaboratori abbiamo deciso di continuare il nostro lavoro», spiega l’architetto Igor Borisovich, direttore del Museo di Arte Occidentale e Orientale. Le collezioni sono state messe al sicuro, ma niente è meglio di una mostra all’estero per salvaguardarle. Alla rassegna sulla pittura europea dal XVI al XIX secolo della Gëmaldegalerie di Berlino, su 85 opere esposte 60 sono del museo di Odessa, soprattutto maestri italiani e olandesi. «Le sale vuote sono poi diventate un’opportunità per organizzare mostre temporanee», spiega. Per esempio, «Punti di attrazione (2022-2025)», della fotografa Anna Golubovskaja, curata da Eugenio Alberti, che dagli inizi del conflitto ha deciso di documentare la vita di una città che non si arrende. Al Museo di Belle Arti, nel neoclassico Palazzo Potocki, progettato dall’architetto Francesco Boffo (attivo a Odessa tra il 1818 e il 1861), le esposizioni temporanee spaziano dalla pittrice Liuda Yastreb (1945-1980), a cura del marito artista Viktor Mariniuk, entrambi esponenti delle coraggiose avanguardie russe degli anni ’60, alla contemporanea Anastasiia Kolibaba: la sua serie «Eclipse» denuncia l’oscurità del tempo presente. Le opere permanenti (oltre 100mila tra oggetti e dipinti) sono nei depositi, le cornici ammassate in cantina. Antonina Poletti, che con il marito e giornalista italiano Ugo Poletti pubblica «The Odessa Journal», ci accompagna all’inaugurazione di una personale dell’artista Sergey Anufriev, nella galleria di Vik Zeppelin: molto orgoglio nazionale in un luogo decisamente anticonformista. Altri autori contemporanei, come Dmytro Dulfan, sono accolti nel nuovo Museo di Arte Contemporanea, che esibisce lo slogan provocatorio «No Future Now». 

Olga Golubovskaja, «Soldato-Coraggio», 2022. © Olga Golubovskaja

Apertura ridotta al minimo invece per il Museo di Archeologia: una sala illustra i risultati degli scavi archeologici sull’Isola dei Serpenti (il Mar Nero, l’antico Pontus Euxinus, era costellato di avamposti e città greche), nota per l’episodio della nave da guerra russa, e che descrive molto bene l’attitudine alla resistenza degli ucraini, come sottolinea Oksana Grytsinta, specialista del Paleolitico, con il marito al fronte. Nel vicino Museo della Letteratura, vanno in scena eventi e conferenze. La direttrice Tatiana Liptuga ci racconta del club di poetesse e (pochi) poeti che tutte le domeniche si riunisce imperterrito al museo. La collezione è al sicuro altrove, compresa quella proveniente dal Museo Pushkin, danneggiato dagli attacchi. Una doppia conservazione perché una corrente di pensiero vorrebbe cancellare i simboli della cultura russa per radicare l’identità ucraina, sebbene una buona porzione di cittadini sia russofona (ma nessuno vuole tornare sotto i russi). Un tema al centro di molte discussioni. In quest’ottica è stata rimossa la statua di Caterina II, mentre è ancora al suo posto quella del poeta Aleksandr Puškin. Davanti si apre il Primorsky Boulevard ombreggiato da grandi alberi, percorso da mamme e bambini, giovani e anziani a passeggio, che conduce alla piazza di Richelieu, con il suo monumento ben imballato. Siamo alla sommità della scalinata Potëmkin, realizzata da Francesco Boffo come cerniera tra la città e il mare, così nominata per essere stata immortalata nel celebre film del 1925 («La corazzata Potëmkin» diretto da Sergej Ėjzenštejn). La prospettiva è rovinata da un molo di epoca sovietica. Sui gradini dall’effetto ottico particolare, teatro dell’Odessa Film Festival (24 settembre-4 ottobre), alcuni ragazzi suonano la chitarra. Fino a 25 anni non verranno arruolati. Si tenta di preservare le nuove generazioni.

La musica gioca un ruolo importante nella vita cittadina. Al Teatro dell’Opera, dopo un incendio ricostruito nel 1873 in stile neobarocco dagli architetti austriaci Fellner & Helmer, siamo andati ad assistere alla prima del «Rigoletto» di Giuseppe Verdi. La platea era piena, con due file interamente occupate da soldati. Lo scrittore Edmund De Waal, in città sulle tracce dei suoi avi, i banchieri ebrei Ephrussi, colpito dall’imponenza del teatro, nel suo libro Un’eredità di avorio e ambra (2011, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri nel 2012) scrive: «Odessa non è costruita attorno a una cattedrale o a una fortezza. È una città ellenista di mercanti e poeti e questa è la sua agorà borghese», centrando perfettamente lo spirito del luogo. La musica in tempo di guerra è al centro dei programmi di Hobart Earle, nato a Caracas da genitori americani, direttore dell’Orchestra Filarmonica di Odessa da 21 anni, spesso in tourné in tutto il mondo. Siamo fortunati e assistiamo al suo concerto. Nella sala le finestre sono protette da chiusure di sicurezza, ma rivestite da gigantografie che creano l’illusione delle vetrate colorate esplose per effetto di un bombardamento. Si ascoltano Puccini, Elgar, Massenet, Sibelius, Villa-Lobos, Handel e autori più insoliti per noi come Skalkottas o Shaskidi. Non una nota è triste. «Sono molto attento a che cosa scelgo, la musica deve avere un effetto positivo, ritemprare gli animi», spiega il direttore. La moglie Aida Tolochyants, violinista nell’orchestra, ucraina di origine armene, ha perso la casa di famiglia, restata nel territorio occupato dai russi, ad appena tre ore da Odessa. Un dolore ancora vivo. Lo stress postraumatico è la specializzazione di Svitlana Grygorieva, psicanalista dell’Università di Odessa, che insegna ai suoi studenti come trattare queste patologie («Purtroppo ce n’è molto bisogno», confessa), ha trovato nella pittura una terapia potente. Non molla neppure l’architetta Nata Golovchenko, con il suo studio ng-architects. Il suo lavoro più recente è il Memoriale per i Combattenti dell’Ucraina, nel Primorsky Park, che sarà ultimato a breve. 

Prima di partire si può salutare Odessa passeggiando sulle sue spiagge, come quella di Langeron. O assistere a un concerto di jazz italiano con la band di Yaroslav, su una terrazza. Oppure andare a ballare il tango argentino alla Casa del Tango, un sabato sera. Una milonga, degna di Buenos Aires, che d’estate si sposta all’aperto. Lasciandosi andare alla melodia si potrebbe parafrasare la canzone di Leonard Cohen: «Dance me to the end of war».

Micaela Zucconi, 16 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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