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Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliCittà del Messico. È triste vedere che il rapporto dei giornaloni «di prestigio» con l’antica America è sempre legato allo stereotipo del «mistero», anche quando ci sono dati chiari e semplici a disposizione di tutti. L’ultimo caso è quello del video, che il sito internet di «la Repubblica» ha dedicato al lingotto «d’oro» scoperto a Città del Messico quasi quarant’anni fa.
Il video è accompagnato da un breve articolo, che si apre con questo titolo: «Messico, risolto il mistero del lingotto d’oro: “È un pezzo del tesoro azteco rubato dai conquistadores”». Nel testo, poi, si può leggere: «Nel 1981, durante gli scavi per realizzare una banca a Città del Messico, fu ritrovato un lingotto d’oro dal peso di 1,93 chilogrammi. In quasi 40 anni non era mai stata svelata l’origine del blocco, ma l’ultima ricerca... ha svelato il mistero. Il lingotto faceva parte del tesoro azteco trafugato dai conquistadores spagnoli durante quella che è passata alla storia come «La noche triste»: la fuga degli uomini di Hernán Cortés dalla città di Tenochtitlan, capitale dell’impero degli Aztechi».
Senonché al contrario di quanto si sostiene nell’articolo e di quanto appare nei testi inseriti nel video, in 40 anni non c’è mai stato nessun mistero. Lo afferma anche Leonardo López Luján, direttore della squadra che ha condotto le ultime ricerche sul lingotto, in un bell’articolo, apparso nel febbraio 2020 sulla rivista «Arqueologia Mexicana». Questo intervento, però, pur essendo alla base del video di «la Repubblica», evidentemente non è mai stato letto.
L’articolo è dedicato a Félix Francisco Bautista García, un povero operaio di Oaxaca che lavorava, ovviamente in condizioni di ultraprecariato, nell’impresa che stava scavando le fondamenta della Banca Centrale del Messico. Bautista García, infatti, non solo fu il primo a vedere il lingotto tra i detriti scavati da una ruspa, ma lo difese dagli ingegneri della Compañía Excavaciones y Cimentaciones, che volevano strapparglielo.
La lite tra l’operaio e i dirigenti della società presso cui lavorava provocò l’intervento della polizia che prese in custodia il lingotto e lo consegnò agli archeologi. Dopo aver reso omaggio a Bautista García, López Luján fa la storia delle ricerche fatte sul lingotto e scrive che già nel 1981 si era studiata la sua composizione e fin da allora si era capito che era di uno dei soldati di Cortés, che in quella zona, durante la «noche triste» aveva perso i 2/3 dei suoi uomini.
Correttamente, poi, López Luján ricorda che la notizia della scoperta fu data alla stampa, con grande enfasi, dal presidente del Messico il 25 marzo 1981. Dunque, nessun mistero. Tutto era chiaro già 40 anni fa. Curiosamente, però, i giornalisti di «la Repubblica» non hanno colto il punto centrale dell’articolo di López Luján: le ultime ricerche sul pezzo hanno dimostrato che presenta il 76,22±1,03% di oro, il 20,75±0,98% di argento e il 3,03±0,53% di rame e che questa composizione, pur diversa da quella delle ricerche del 1981, è in linea con quella degli altri reperti della fase VI (1486-1502 d.C.) del Templo Mayor.
Risulta chiaro, pertanto, che il lingotto fu fatto dagli Spagnoli fondendo gli «ori» mexica, sicuramente di straordinaria bellezza, degli ultimi imperatori aztechi. Ma nel video di «la Repubblica» e nel breve articolo che l’accompagna tutto questo non è spiegato, lasciando il lettore nel dubbio che fosse un’opera mexica. Non vale la pena mettere in rilievo altre inesattezze, ma sottolineare che le immagini finali non mostrano le piramidi della capitale azteca, ma quelle di Teotihuacan, una metropoli abbandonata oltre 500 anni prima della nascita di Tenochtitlan.
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