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La «Capra Amaltea» di Gian Lorenzo Bernini

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La «Capra Amaltea» di Gian Lorenzo Bernini

Nel nuovo catalogo della Galleria Borghese la «Capra Amaltea» non è più di Bernini

A settant’anni dal precedente, Anna Coliva presenta il repertorio delle sculture moderne (dal XV al XIX secolo), ma anche delle opere antiche riadattate in epoca moderna

Maria Grazia Bernardini

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Roma. Dopo il preziosissimo catalogo ragionato delle sculture dal XVI al XIX secolo della Galleria Borghese, pubblicato da Italo Faldi nel lontano 1954, è stato ora realizzato un nuovo catalogo, a cura di Anna Coliva con la collaborazione di Vittoria Brunetti e il contributo di tanti studiosi che hanno elaborato nuove schede. Pubblicato da Officina Libraria, affronta lo studio delle sculture moderne dal XV al XIX secolo, comprendendo anche opere di arte antica che hanno subito in epoca moderna restauri, trasformazioni, reinterpretazioni. Ne sono esempi il «Marzio Curzio si getta nella voragine» (cat. n. 26): la parte antica, del II secolo d.C. proveniente da Villa Adriana, era costituita dal frammento di un cavallo e Pietro Bernini all’inizio del Seicento lo completò delle parti mancanti trasformandolo in Marco Curzio.

Altro esempio illuminante è il «Fregio con erote e ghirlande» (cat. n. A4) dove la parte centrale risale all’età adrianea e le parti laterali al XIX secolo. O ancora il «Busto di Augusto» (cat. n. A12) in cui la testa risale al I secolo a.C. e il busto, di fine XVI-inizio XVII secolo, fu rilavorato nel quarto decennio del XIX secolo. Altro esempio molto esplicativo è il bellissimo «Satiro combattente» (cat. R2), databile al 120-140 d.C., che subì diversi restauri nel tempo. In questo caso gli interventi hanno restituito correttamente il soggetto originario, ma hanno attenuato l’atteggiamento aggressivo con l’espressione sorridente.

L’approccio metodologico scelto dalla curatrice evidenzia le caratteristiche e la storia della collezione Borghese: da una parte mette a fuoco il raffinato e ricercato gusto collezionistico dei Borghese, tipico degli anni a cavallo tra Cinquecento e Seicento, per l’arte antica, per opere dal vago aspetto esotico, per opere in marmi policromi; dall’altra riflette gli avvenimenti della collezione. Come illustra Simona Ciofetta nel suo saggio, nella Galleria Borghese sono presenti numerose opere di difficile o dubbia collocazione storica e culturale, a causa delle varie operazioni messe in atto dai Borghese all’inizio dell’Ottocento per la ricostituzione della collezione dopo la cessione alla Francia della straordinaria raccolta di arte antica.

Gli aspetti più significativi della pubblicazione sono la precisa segnalazione dei documenti e degli inventari e la ricostruzione dettagliata delle vicende storiche delle singole opere. Le approfondite ricerche hanno portato in alcuni casi anche novità su datazioni e attribuzioni, alcune delle quali di notevole rilievo. Ad esempio la «Testa di Commodo» (cat. n. A1), fino ad ora di incerta datazione o riferita genericamente ad arte romana, è stata riportata all’epoca moderna da Ciofetta e riferita plausibilmente a Carlo Albacini; il famoso e singolare «Busto di donna» (cat. n. 41) dal grande velo è stato accuratamente analizzato da Vittoria Brunetti, che respinge le varie ipotesi attributive e di identificazione della donna e ha ritenuto più correttamente lasciare anonimi sia il personaggio ritratto che l’artista; i «Tre eroti dormienti», studiati da Maria Giulia Barberini (cat. n. 14), sono stati assegnati a Egidio della Riviera (Gillis van den Vliete), già autore di un’altra opera simile per i Mattei.

Altra importante acquisizione è l’attribuzione alla bottega di Giovan Battista della Porta della stupenda «Giovinetta con fanciullo e cane» detta La Mora, riferita in passato a Nicolas Cordier. Luca Annibali, autore della scheda, basandosi su documenti che attestano la provenienza dalla famiglia Ceoli e su confronti stilistici, riconduce l’opera all’interno della bottega di Della Porta, specializzata nelle sculture e arredi di marmi policromi (cat. n. 15).

La novità più eclatante, ma non condivisibile, è senza dubbio l’espunzione dal catalogo delle opere di Giovan Lorenzo Bernini della «Capra Amaltea» (cat. n. 17), riferita ora in modo generico a «scultore ignoto». L’opera fu attentamente descritta da Joachim von Sandrart nel 1675 come primo lavoro del famoso artista. La citazione del Sandrart non è da sottovalutare: aveva potuto vederla nel 1628-29 in occasione del suo soggiorno a Roma, e in quel tempo Bernini era all’apice della sua fama e quindi difficilmente avrebbe potuto considerarla dell’artista se questo non fosse stato vero. Inoltre le motivazioni di tale lettura critica non sono dirimenti a tal punto da prevalere sulla citazione del Sandrart: secondo Coliva il fatto che l’opera non venga riferita a Bernini dalle fonti berniniane (le biografie dell’artista e le antiche guide di Villa Borghese) «resta l’elemento di massima criticità circa l’attribuzione all’artista», circostanza che però si ritrova in altre occasioni, basterebbe sfogliare il catalogo delle opere di Bernini.

Inoltre, a parte le considerazioni avanzate da tanti studiosi a favore dell’autografia berniniana, da Roberto Longhi a Irving Lavin, la capra, come ha fatto notare Marcello Fagiolo, gira il proprio capo all’indietro, verso Giove Bambino che sta mungendo le sue poppe, con un’espressione di intenso godimento. Una sottile trovata ironica che solo Bernini, con il suo spirito arguto, poteva avere. Così come solo lui poteva ornare il piedistallo del «Busto di Antonio Barberini», un illustre antenato di Urbano VIII assassinato a Roma nel 1559, con un’ape scuoiata.
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Galleria Borghese. Catalogo Generale I. Scultura moderna,
a cura di Anna Coliva con la collaborazione di Vittoria Brunetti, 456 pp., 354 ill. col., Officina Libraria, Roma 2022, € 85

Maria Grazia Bernardini, 08 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

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