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«Whistlejacket» (1762 ca) di George Stubbs è circondato da un nuovo allestimento di dipinti britannici del periodo 1740-1800

© The National Gallery, Londra

«Whistlejacket» (1762 ca) di George Stubbs è circondato da un nuovo allestimento di dipinti britannici del periodo 1740-1800

© The National Gallery, Londra

Nel museo «sfera pubblica» i quadri dialogano tra loro e con lo spettatore

Dopo due anni, il rinnovamento della Sainsbury Wing, che ora costituisce l’ingresso principale della National Gallery, ha previsto nuovi restauri e un nuovo allestimento della sua collezione senza pari di dipinti del primo Rinascimento. Il risultato è sorprendente

Alison Cole

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Quando la National Gallery di Londra aveva chiuso la Sainsbury Wing per agevolare la creazione di «un ingresso più accogliente», sotto la guida dell’architetto Annabelle Selldorf, ero rimasta sconvolta. Quell’ala del museo era un luogo dove poter ammirare, proprio nel cuore di Londra, la serena bellezza dell’interno di una chiesa fiorentina del Brunelleschi. A progettarla appositamente in questo modo, come cornice perfetta per l’ineguagliabile collezione di dipinti del primo Rinascimento della galleria, erano stati nel 1991 gli architetti postmoderni Robert Venturi e Denise Scott Brown.

Ampliando l’edificio originale di William Wilkins del 1832 al livello del piano nobile, la Sainsbury Wing permette di attraversare agilmente la storia dell’arte occidentale lungo un percorso che dalla «Crocifissione» (1502-03) di Raffaello arriva al «Whistlejacket» (1762 ca) di George Stubbs. È valsa la pena aspettare due anni la riapertura? Sì, senza dubbio. Sono tornati i vecchi capolavori, come l’arioso spazio simile a una cappella progettato ad hoc per le luminose opere di Piero della Francesca. La galleria celebra il proprio bicentenario con un ambizioso riallestimento della collezione nei due edifici, intitolato «C C Land: the Wonder of Art» (dal nome del promotore immobiliare di Hong Kong che la sponsorizza). La lunga chiusura ha offerto l’opportunità di nuovi restauri, di una nuova curatela (che gioca con le famose vedute di Venturi e Scott Brown) e di alcune splendide rielaborazioni. L’effetto è «rivelatore».

Con la ristrutturazione di Selldorf questo ingresso è ora definitivamente quello principale della National Gallery. Lavorando con tutti i limiti di un edificio tutelato, ha aperto e illuminato il piano terra, con due varchi nel soffitto per creare grandi spazi a doppia altezza. Le vecchie e ingombranti colonne sono state eliminate e le finestre un tempo oscurate lasciano ora entrare la luce. Selldorf afferma che avendo avuto «il privilegio di un’infanzia piena di musei» il suo istinto è di far sentire i visitatori a proprio agio. La sua ristrutturazione è quindi incentrata sull’«atteggiamento» anziché sulla «forma».

Si accede alla galleria da una nuova «piazzetta» che la collega a Trafalgar Square. Trasparenti porte in vetro danno su un ampio vestibolo progettato per accogliere (e gestire meglio) la folla; al piano inferiore c’è un auditorium rinnovato. In cima alla scala asimmetrica originaria, oltre la parete laterale con le finestre e il ristorante al primo piano di Giorgio Locatelli, con il murale «Crivelli’s Garden» di Paula Rego, si è accolti da una nuova opera commissionata per l’occasione: «Mud Sun» di Richard Long. Personalmente mi manca l’«Assunzione della Vergine» (1475 ca) di Francesco Botticini, che un tempo era appesa lì: ti dava l’impressione di salire qualcosa di simile alla scalinata dell’Aracoeli a Roma, o da una cripta buia, per intravedere il cielo. 

Non ci sono percorsi prestabiliti per visitare le 17 gallerie dell’ala Sainsbury che non sono state toccate dalla ristrutturazione di Selldorf. Ciò che colpisce immediatamente è la purezza dell’architettura ripulita, dalla pietra serena grigio-blu ai dissuasori che proteggono discretamente i quadri. Nella prima galleria, il misterioso paesaggio cavernoso della «Vergine delle rocce» di Leonardo conduce lo spettatore nello spazio silenzioso simile a una grotta che si trova dietro di essa, la nicchia che ospita il grande disegno preparatorio di Leonardo, il «Burlington Cartoon». Grandi vetrine indipendenti espongono capolavori come il «Dittico di Wilton» e consentono di vivere l’arte medievale e rinascimentale come oggetti materiali oltre che come immagini di capolavori, dai dittici portatili alle predelle staccate dagli altari, ai pannelli dipinti che adornano i cassoni nuziali.

Nulla però prepara il visitatore alla maestosa «enfilade» centrale, che evoca la grande navata di una basilica italiana, con una sequenza mozzafiato di pale d’altare. Qui, l’impegno congiunto di tutti gli specialisti della National Gallery (curatori, conservatori, corniciai, restauratori, lighting designer e ingegneri) ha dato frutto. Da un lato ritroviamo «Il Martirio di san Sebastiano» di Antonio e Piero del Pollaiuolo, che ora fresco di restauro svela la gioia dei suoi accostamenti cromatici e figurativi. Di fronte, in tutta la sua scintillante monumentalità, troneggia la ricostruzione della «Pala di san Pier Maggiore» di Jacopo di Cione. La larghezza dello spazio che occupa corrisponde quasi esattamente a quella del convento benedettino (ora distrutto) dove era collocata in origine. Reincorniciate con maestria da Peter Shade, entrambe le opere sono montate su bassi piedistalli grigi, riservati alle pale d’altare più significative. Una lunga vetrina centrale contiene le meravigliose pale d’altare di Fra Angelico provenienti da San Domenico a Fiesole, presentate più in basso rispetto a prima per sottolinearne la funzione di predella. Nello spazio antistante il «Crocifisso» di Segna di Bonaventura è sospeso al soffitto, una scelta audace che riecheggia l’uso, comune nelle chiese italiane del Quattrocento, di appendere ad angolo sopra il coro i crocifissi dipinti. Il risultato è una «trinità» di esperienze visive stratificate.

«Il Martirio di San Sebastiano» di Antonio e Piero del Pollaiuolo, recentemente restaurato, è visibile in fondo alla navata centrale dell’ala Sainsbury, con il Crocifisso di Segna di Bonaventura

Lungo l’infilata possiamo ammirare oltre un secolo di sviluppi artistici, dagli angeli circonfusi d’oro di Cione (1370-71) all’imponente paesaggio prospettico dei fratelli Pollaiuolo (1470 ca), passando per Cima da Conegliano, Carlo Crivelli e Matteo di Giovanni. I pannelli della maestosa «Maestà» di Duccio torneranno presto dalla loro esposizione temporanea al piano inferiore, nella mostra «Siena: The Rise of Painting, 1300-1350» (in corso fino al 22 giugno).

Le sale più piccole e squadrate ai lati ricordano maggiormente gli spazi domestici. È un ambiente perfetto per le quattro splendide gallerie dedicate al Rinascimento nordico, dove è allestito il «Ritratto dei coniugi Arnolfini» di Jan van Eyck. Per ovviare alla storica predilezione della collezione per il Rinascimento italiano (circa un terzo dei 2.400 dipinti totali della galleria) dall’edificio Wilkins  sono stati trasferiti vari capolavori tedeschi e olandesi di epoca successiva, in particolare l’«Adorazione dei Magi» (1564) di Pieter Brueghel, accanto a Bosch e Holbein. Si tratta di un cambiamento piuttosto brusco in termini cronologici. Le sale tematiche «Oro» e «Guardando la natura» consentono di osservare le opere da diverse prospettive storico-artistiche. La seconda contiene alcuni piccoli capolavori paesaggistici, anche se le visioni aristocratiche di Pisanello sembrano un po’ fuori luogo. I suoi colleghi artisti di corte, che soddisfacevano i gusti principeschi di Ferrara, Mantova e Urbino, compresa la maggior parte dei Mantegna, sono stati in gran parte esiliati nella sala 14 dell’edificio Wilkins. Raffaello, le cui opere illuminano l’ala Sainsbury, è ora lontano dai pannelli di Giusto di Gand con cui è cresciuto nella corte ducale di Urbino.

Non si tratta comunque di un allestimento statico (come quello delle gallerie rinascimentali del V&A), ma è destinato a cambiare nel tempo. Confidiamo quindi nel ritorno degli esiliati. Particolarmente gratificanti sono le sale dedicate a Venezia e Firenze, presentate per la prima volta una accanto all’altra. Si ha la sensazione di passare dai ricchi arredi di un palazzo fiorentino, dove opere come «Marte e Venere» di Botticelli facevano letteralmente parte dell’arredamento, all’atmosfera lirica di un palazzo veneziano affacciato sul Canal Grande. Qui domina «Il Doge Loredan» di Giovanni Bellini, mentre Firenze ha una vetrina centrale che mette in risalto i pannelli del cassone nuziale con la «Storia di Davide e Golia» di Francesco Pesellino, accostati alla «Battaglia di San Romano» di Paolo Uccello restaurata e reincorniciata: un altro capolavoro di stratificazione.

Per Selldorf, l’anima del suo intervento architettonico risiede nel vero significato di «sfera pubblica»: un villaggio o una piccola città dove le persone parlano tra di loro e un luogo dove gli individui possono semplicemente essere sé stessi. Anche le opere dell’ala Sainsbury occupano spazi in cui possono stare comodamente, dialogare tra di loro e con il visitatore o, come nel caso di Jacopo de’ Barbari, trovare un perfetto posatoio tutto per sé. Fortunatamente, come spiega Per Rumberg, responsabile curatoriale della National Gallery, «sono stati i quadri a guidarci: non volevamo essere troppo intelligenti».

Alison Cole, 09 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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