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Jane Roberts
Leggi i suoi articoliPer quasi trent’anni, Paolo Viti, scomparso agli inizi di febbraio, ha svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione di mostre in tutto il mondo, prima per l’Olivetti e, dal 1990, per la Fiat.
Nato a La Spezia nel 1935, laureato in Economia a Venezia, Viti entrò in Olivetti nel 1956. Impiegato nella divisione marketing, lavorò a Milano, in Germania e per dieci anni in Olanda. Nel 1971 tornò a Milano per entrare nel dipartimento di Design, Immagine aziendale e Affari Culturali dell’Olivetti in qualità di vice di Renzo Zorzi, che alla fine degli anni ’60 si era personalmente occupato dell’organizzazione della mostra «Affreschi da Firenze» (finanziata dalla Olivetti). Due anni dopo l’arrivo di Carlo De Benedetti all’Olivetti nel 1978, Viti venne promosso direttore del dipartimento di Design e, l’anno successivo, direttore della Pubblicità e dell’Immagine Aziendale. A De Benedetti si deve il merito di avere aumentato il budget dell’Olivetti per la cultura. Nel corso degli anni ’80 e ’90, Viti supervisionò la maggior parte delle numerose mostre di quegli anni, tra cui «I Cavalli di San Marco», «Il Tesoro di San Marco a Venezia», «Leonardo. Studi per l’Ultima Cena dalla Royal Library del Castello di Windsor», «Vetri dei Cesari» e «Michelangelo disegnatore e architetto». Straordinari tesori vennero in questo modo portati (spesso per la prima volta) in importanti sedi di tutto il mondo, a Milano, Firenze, Londra, Amsterdam, Parigi, Barcellona, Madrid, Monaco di Baviera, Colonia, Berlino, New York, Washington, Toronto, Città del Messico, Sydney e Tokyo.
Un eccellente design unitamente al sostegno sociale e culturale furono fondamentali per l’ethos dell’Olivetti in quel periodo. Oltre alle mostre, Viti fu coinvolto da vicino in numerose campagne di conservazione del patrimonio statale italiano, per le quali l’Olivetti forniva fondamentali finanziamenti. Prima tra tutte il restauro dell’«Ultima Cena» di Leonardo a Milano e degli affreschi di Masaccio, Masolino e Filippino Lippi nella cappella Brancacci di Firenze. Viti garantì che le pubblicazioni che accompagnavano ogni mostra e campagna di restauro (edite dall’Olivetti) fornissero resoconti duraturi di questi progetti.
Verso la fine degli anni ’80 Viti convinse l’Olivetti a fornire i cruciali finanziamenti preliminari per l’ambizioso progetto multidisciplinare di catalogazione e pubblicazione degli elementi superstiti del Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo. L’Olivetti coprì i costi di un convegno nel 1989 al Warburg Institute e al British Museum, la pubblicazione degli atti e il catalogo della mostra al British Museum del 1992. Negli anni successivi il «progetto Cassiano» (gestito dalla Royal Collection di Londra, dove è conservata la maggior parte dei disegni superstiti) fu in grado di attrarre finanziamenti dal Getty e da altri donatori. Il primo catalogo apparve nel 1996; da allora sono stati pubblicati altri 26 volumi; i rimanenti 9 dovrebbero uscire entro il 2018. Senza la convinzione e l’entusiasmo di Viti nella fase iniziale probabilmente nulla di tutto questo sarebbe avvenuto.
Alla fine del 1989 Viti lasciò Milano per dirigere le attività culturali di Palazzo Grassi a Venezia, acquistato dalla Fiat nel 1983. Durante il suo primo anno in Fiat, organizzò la mostra «Leone di Venezia», al British Museum (con il sostegno della Fiat). Ma probabilmente Viti sarà ricordato soprattutto per la serie di mostre su temi storici e culturali di ampio respiro («I Celti», «Gli Etruschi», «I Greci in Occidente», «I Maya»), oltre che per «Leonardo & Venezia» e per la mostra, straordinariamente innovativa, di modelli architettonici del 1994 «Il Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’Architettura», seguita nel 1999 da «Il Trionfo del Barocco. Architettura in Europa», allestita a Stupinigi (Torino) e poi in Nord America. Gli ultimi diciassette anni della sua vita, dopo un ictus che lo aveva privato dell’uso della parola (ma sempre dotato del suo unico sense of humour), devono essere stati per lui frustranti, ma è stato accudito splendidamente dalla moglie Franca.
Tanto in Olivetti quanto in Fiat, Viti commissionò il progetto di allestimento della maggior parte delle mostre di cui si occupò all’architetto britannico Alan Irvine, con risultati che vennero apprezzati da un pubblico vastissimo. Scrive Irvine: «Tra le persone per cui ho lavorato, nessuno può essere paragonato a Paolo per professionalità e competenza. Avendo scelto il suo progettista con cura, raramente interferiva con il progetto della mostra. Per lui la soluzione progettuale era importantissima. Per Paolo, una mostra di successo era quella che assolveva alla funzione di comunicare il tema ai visitatori in modo accurato e divertente, sostenuta da un ottimo catalogo e che promuovesse al contempo il nome dell’Olivetti e, successivamente, della Fiat. Il risultato di questo mecenatismo fu di accrescere gli standard degli allestimenti dei musei e della loro comunicazione, cosa che ritengo costituisca il suo contributo più significativo».