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La mostra «Ugo Rondinone: Breathe Walk Die» nel 2014 al Rockbund Art Museum di Shanghai

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La mostra «Ugo Rondinone: Breathe Walk Die» nel 2014 al Rockbund Art Museum di Shanghai

Musei: il modello cinese è in crisi, ma ne emerge uno nuovo

Con un’economia in picchiata, la Cina sta affrontando una serie di chiusure e ridimensionamenti in un regime di censura governativa sempre più caotico e arbitrario. Mentre prevale l’iniziativa di collezionisti privati, queste istituzioni si fanno più piccole e specializzate

Lisa Movius

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Nell’agosto del 2022 il Guangdong Times Museum di Guangzhou dava il via alla crisi annunciando la cessazione del programma espositivo. Il museo, aperto nel 2003 da una società immobiliare in un clima di ottimismo, era una delle istituzioni indipendenti più influenti e sperimentali della Cina continentale ma negli ultimi anni si era trovato a operare in un ambiente sempre più ostile. La sua chiusura ha scosso una comunità artistica cinese già provata dalle restrizioni pandemiche, presto seguite da altri shock: il gruppo immobiliare Ocat con sedi a Pechino, Shanghai, Xi’an e Shenzhen ha chiuso bruscamente nel 2022, lo Yuz Museum si è trasferito quest’estate dal suo enorme hangar per aerei riconvertito nel West Bund di Shanghai a una struttura molto più piccola in un sobborgo remoto, e lo Shanghai Centre of Photography (SCoP) chiuderà in novembre dopo otto anni a causa del pensionamento del suo fondatore, il fotoreporter Liu Heung Shing. In agosto, il Long Museum di Shanghai ha annunciato una vendita autunnale da parte di Sotheby’s Hong Kong di 40 opere della sua collezione, per un valore stimato fino a 135,5 milioni di dollari. Una successiva vendita è prevista con Sotheby’s New York.

«Sembra un processo di alti e bassi repentini, che riflette la più ampia situazione economica, afferma Colin Chinnery, artista e curatore che quest’anno ha cofondato il Sound Art Museum di Pechino. La maggior parte delle istituzioni artistiche private non ha un modello finanziario solido, soprattutto se si affida a una società madre per coprire le spese. Il modello attuale sembra basarsi sulla premessa dei “sette anni di vacche grasse”, senza considerare gli anni di magra che inevitabilmente seguono». I musei cinesi devono affrontare un regime di censura sempre più caotico, oltre alle conseguenze delle politiche zero Covid, della recessione globale e del crollo del mercato immobiliare.

La riapertura del Paese a inizio 2023 non è riuscita a mitigare i danni causati dalla lunga chiusura. «Il Covid-19 ha provocato il caos economico nel 2022, cui è seguito un forte stress finanziario, afferma Chinnery. Gli anelli della catena economica sembrano essersi spezzati». Negli anni ’10 del Duemila, la Cina ha costruito nuovi musei con una frenesia pari solo alla crescita urbana. E stando a quanto riporta la China Museums Association, tra il 2009 e il 2014 sono stati aperti 1.563 nuovi musei. Secondo i commentatori, queste cifre sono probabilmente fuorvianti: solo una minima parte di quelli elencati sono riconoscibili come musei d’arte secondo un’accezione condivisa, e la maggior parte sono istituzioni pubbliche sostenute da amministrazioni nazionali o locali. La Cina, tuttavia, ha potuto vantare fino a 100 musei d’arte degni di nota prima del 2020, ciascuno lanciato da imprese private, principalmente nel settore immobiliare, o da singoli collezionisti.

Crollo immobiliare e sconvolgimenti politici
Il ritmo degli investimenti nei musei ha però iniziato a rallentare ben prima del 2020 e alcuni di essi, come il Redtory Museum of Contemporary Art di Guangzhou chiuso nel 2019, nascevano come interventi di riqualificazione. Poi è arrivato l’atteso e temuto crollo immobiliare, iniziato nel 2021 con l’insolvenza di Evergrande (il secondo più grande promotore immobiliare in Cina per vendite), che ha volatilizzato i risparmi di migliaia di clienti che avevano investito in costruzioni mai completate. Il prezzo delle azioni di Evergrande è crollato lo scorso agosto, un evento che ha coinciso con il crollo di un altro gigante del settore, Country Garden.

Anche la politica si fa sentire. La censura è notoriamente difficile da documentare in Cina, a causa del timore di ripercussioni, ma è in aumento dal 2012 e si è inasprita in particolare durante il Covid-19. Racconti che nessuno vuole e può confermare vengono sussurrati davanti a bicchieri di vino durante le inaugurazioni, suggerendo che il vecchio adagio di evitare semplicemente le «tre T» di Tiananmen, Taiwan e Tibet, oltre al sesso, non è più valido. I temi ormai tabù comprendono ora anche i beniamini del mercato dell’arte degli anni Novanta, così come i riferimenti alla Belt and Road Initiative, alle relazioni sino-americane, alla seconda guerra mondiale o persino a traduzioni errate di titoli ritenuti non patriottici.

I musei privati avrebbero ricevuto istruzioni di esporre mostre più filogovernative e nazionaliste in occasione di anniversari come la Giornata nazionale di ottobre. «Ora non c’è una chiara linea rossa, afferma un ex direttore di alcuni musei privati, che richiede l’anonimato. Il meccanismo è cambiato: prima si faceva domanda e si veniva approvati o meno. Ora la censura si basa sulle segnalazioni di chiunque». Nel 2022, all’Ucca di Pechino, un reclamo dei visitatori ha fatto rimuovere il dipinto di Li Songsong raffigurante un jet kamikaze giapponese. Tuttavia, alcuni musei riferiscono che lo spazio per negoziare con gli uffici di censura locali rimane più aperto di quanto sembri dall’esterno.

Al Sound Art Museum di Pechino, la censura «non è un problema, dice Chinnery. Le nostre mostre contemporanee sono più astratte rispetto all’arte visiva. Le cose si sono fatte più rigide negli ultimi anni, ma tutto cambia continuamente». Anche prima della crisi, le ragioni del profitto a breve termine si sono rivelate la forma più limitante di autocensura. Nikita Cai, curatore capo del Guangdong Times Museum, sottolinea la popolarità delle mostre personali e delle mostre «pacchetto» importate e descrive un meccanismo secondo il quale «la gente pensa che l’arte importata sia buona arte, e quindi i musei considerano che siano queste le mostre per cui i visitatori sono disposti a pagare, secondo ciò che ritengono sia il canone occidentale. È un’arte più gradita e digeribile, e non propone alcuna sfida».

«Mai entità indipendenti»
Come nei musei occidentali, la necessità di finanziamenti domina la scena. Dietro mostre oggi popolari in Cina «c’è una concezione dell’arte come potenziale investimento e speculazione» spiega Cai, secondo il quale è una tendenza cresciuta negli ultimi cinque anni, a partire dal Covid-19 quando l’arte è diventata più popolare come strumento di investimento. «I musei privati non sono mai entità indipendenti», afferma l’anonimo ex direttore. Questi musei hanno spesso licenze legate a una società madre che garantisce i finanziamenti. «È un meccanismo parassitario», afferma. Alcuni musei si costituiscono come holding, con sotto-società per attività come l’educazione e il merchandising, ma finiscono con il seguire «la logica delle società commerciali». Non di rado hanno rapporti stretti con i collezionisti privati. Sebbene si tratti di casi anomali, la maggior parte dei musei cinesi accoglie con favore le mostre finanziate dalle gallerie e le collaborazioni con le case d’asta e spesso chiude un occhio sulle vendite private delle opere esposte in mostra.

«I musei privati ricevono un certo sostegno da parte dello Stato, a volte anche consistente, ma tendono a confluire nelle istituzioni più appariscenti che ne hanno meno bisogno. Città come Shanghai e Shenzhen hanno introdotto nuove categorie legali per gli spazi espositivi, legittimando progetti meno convenzionali e a doppio uso, come le mostre negli aeroporti o nei wine bar», dice l’ex direttore. «L’Amministrazione di Pechino ha iniziato a offrire uno speciale status di “Museo di categoria” a progetti come il Sound Art Museum, spiega Chinnery, per certificare un sistema di istituzioni riconosciute dal Governo».

Nonostante la perdita di gemme come il Times Museum e lo SCoP, la maggior parte dei principali musei privati dell’era del boom sta in qualche modo sopravvivendo alle difficoltà, come il Ming Contemporary Art Museum e l’How Art Museum di Shanghai, l’Ucca e l’M Woods di Pechino (con filiali in altre località), oltre a istituzioni pubbliche come la Power Station of Art di Shanghai e il Museum of Art Pudong. Il Rockbund Art Museum di Shanghai, sotto la nuova guida di Liu Yingjiu e X Zhu-Nowell, si è ripreso quest’anno dalla chiusura per ristrutturazione con una serie di coraggiose mostre di donne asiatiche queer emergenti come Tosh Basco e Evelyn Taocheng Wang. Progetti come lo Start Museum di Shanghai e il Tag Art Museum di Qingdao sono stati lanciati di recente dopo lunghi ritardi, mentre Fotografiska aprirà una sede a Shanghai questo mese. L’anonimo ex direttore ritiene che emergerà un nuovo modello di musei, più piccoli e specializzati. «La crisi finanziaria del 2008 era stata una buona cosa per il mondo dell’arte cinese, afferma Chinnery. Ora spero che l’attuale crisi costringa le istituzioni a pensare a nuovi modelli finanziari e che nasca un nuovo ecosistema dell’arte».

La mostra «Ugo Rondinone: Breathe Walk Die» nel 2014 al Rockbund Art Museum di Shanghai

Lisa Movius, 21 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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