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Redazione GDA
Leggi i suoi articoliDopo due aste andate deserte, torna in vendita il Castello ispirato da una visionarietà orientalista: perché non si fa avanti lo Stato?
Ancora cento giorni, e cento notti, prima che il Castello di Sammezzano vada nuovamente all’asta, al prezzo base ribassato di 15 milioni di euro. Il punto è: dopo due aste andate deserte, chi si caricherà di questo incredibile edificio, fatto di 365 sale, una per ogni giorno dell’anno? Quale Shahryar, visir o re di Persia si lascerà commuovere dall’agonia del frutto del progetto del marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, il castello e 65 ettari di giardini formali, boschi e annessi, un angolo di Oriente ottomano nel cuore della Toscana? E soprattutto, perché?
I motivi dei possibili acquirenti privati sono evidenti: una manciata di anni fa il colosso del resort di lusso Palmerston, appoggiato alla Castle Srl, l’azienda il cui fallimento è origine dell’attuale messa all’incanto, presentava il programma della riconversione del complesso in uno sport center con hotel, spa, boutique, golf e diverse «amenities».
Dal versante opposto comitati spontanei di varia natura raccolgono firme (a oggi sono poco più di 15mila), lanciano crowdfunding per promuovere un acquisto dal basso e sottopongono petizioni al ministro Franceschini in una logica di bene comune. E per quanto vicino alle folies tardobarocche e neoclassiche uscite dalla mente di ricchi artistocratici, il castello, che sorge in località Sammezzano nei pressi di Leccio, nel comune di Reggello in provincia di Firenze, si colloca storicamente in un quadro culturale molto vicino alla concezione di patrimonio che dovrebbe permeare la stretta contemporaneità.
Le vicende della sua concezione e costruzione parlano da sole. Il castello è edificato sotto il costante e scrupoloso controllo di Ximenes d’Aragona, un colto dilettante appassionato di Oriente e giardini, in un periodo in cui l’Oriente arabo e ottomano è sinonimo di delizie: la pubblicazione in inglese dei sedici volumi di Le mille e una notte, con il pruriginoso titolo di The Secrets of Arabian Nights si avvia nel 1885.
Tra il 1853 e il 1889 il marchese concretizza l’idea di una sontuosa dimora che obbedisce al programma di ambienti incrostati di laterizi, ceramiche, maioliche che evocano l’Alhambra raccontata da Owen Jones e riproducono con un buon grado di approssimazione filologica le mattonelle di Iznik che rivestono la Cupola sulla Roccia a Gerusalemme insieme a un nuovo modo di abitare lontano dal rigido protocollo dell’aristocrazia di nascita o del denaro. Ma soprattutto dove le capacità artistico-industriali della Toscana del tempo (sono gli anni della vertiginosa crescita della fabbrica Ginori e dell’intero distretto intorno a Sesto Fiorentino) vengono messe alla prova, con il coinvolgimento di artisti e artigiani per le ceramiche prodotte a regola d’arte nella fornace appositamente installata nel parco.
Meno distaccato dal proprio tempo di quanto potrebbe apparire a prima vista, il castello di Sammezzano rappresenta dunque un buon esempio di coinvolgimento della comunità produttiva e dell’intorno, interessato dalla posizione paesaggisticamente rilevante del fabbricato principale, ma anche dalle attività agricole del parco e dell’azienda.
Come riproporre la felice formula di un tempo? Alfredo d’Andrade, funzionario dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti della Liguria e del Piemonte, quando nel 1888 pone mano ai restauri del castello valdostano di Verrès, di fronte all’indisponibilità della famiglia proprietaria a mettere mano al portafoglio, avvia una campagna senza esclusione di colpi, convincendo il demanio ad aggiudicarsi l’anno seguente la proprietà del complesso messo all’incanto. I motivi che presenta ossessivamente ai quadri della burocrazia statale sono culturali ed economici: la testimonianza di una fase storica, quella a cavallo tra Medioevo e Umanesimo che vede la trasformazione di edifici fortificati in magioni signorili, e il valore che il castello, in «rete» con altri, potrà assumere per attrarre turismo e indotto.
Tutto ciò nell’ultimo scorcio del conservatore secolo XIX. Anche se lontano dal gusto attuale, e mai come in questi giorni questo è vero, il castello moresco di Sammezzano potrebbe essere un buon terreno di sperimentazione per la tanto decantata «economia della cultura» in un’area, la Toscana del Mugello, dove distretti e musei di impresa potrebbero far rete con una sede che oltre alla dimora favolistica di una Sherazade nostrana, è anche saggio di eccellenza produttiva a naturalistica.
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