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Bruno Muheim
Leggi i suoi articoliL’asta della collezione di A. Alfred Taubman di questo mese affonda le sue radici nel 2002. Tutto inizia come una tragedia shakespeariana per finire come una delle peggiori soap opera; al confronto le sorelle Kardashian sono delle ragazzine bon ton, noiosette e un po’ grige.
Nel 2000 Al Taubman è all’apice di una carriera pazzesca: multimiliardario e proprietario di quasi tutti gli shopping center in America e di Sotheby’s, va a caccia (il suo pallino) con metà dei reali del mondo, riceve fastosamente l’altra metà ed è uno dei più generosi benefattori americani.
Il castello di carta crolla tragicamente in pochi mesi. La temutissima amministrazione americana lancia a marzo un’inchiesta su una intesa illecita di Christie’s e Sotheby’s sulle percentuali di commissione richieste ai loro clienti: è un fuggi-fuggi generale per evitare di andare in prigione.
Christie’s per prima collabora con la giustizia americana, sapendo benissimo che ha poco da temere: la direzione, inglese, dovrà solo evitare di andare in vacanza negli Hamptons, non vigendo l’estradizione tra Regno Unito e Stati Uniti per questo tipo di delitti. Così, la colpa si sposta su Sotheby’s.
Qui le cose vanno peggio: Dede Brooks, la presidente «creatura» di Taubman, corre dal giudice istruttore descrivendosi come una povera ragazza innocente e per bene, all’oscuro di tutto, oppure forzata da Taubman alle peggiori compromissioni. Stiamo parlando di una donna spregiudicata, soprannominata «queen bee», ape regina, che ha fatto da Sotheby’s una carriera incredibile, da semplice dirigente a numero uno dell’azienda, solo per il fatto che Taubman in lei riponeva una fiducia assoluta, e ha provocato una serie di dimissioni di esperti e manager estremamente validi.
La figura di Taubman si trasforma in quella di re Lear: pugnalato da tutti, finisce in galera per undici mesi per un’imputazione che non è mai stata provata da nessuno. Lui è figlio d’emigrati polacchi ebrei, scaricato dall’aristocrazia inglese e dal perbenismo protestante americano; Tennant, il presidente di Christie’s, è cugino del duca di Devonshire, mentre Dede Brooks è quasi una macchietta del milieu wasp.
Iniziano anni difficilissimi per Sotheby’s, che prova a mantenere la rotta grazie al nuovo presidente Bill Ruprecht, un validissimo esperto di tappeti che ha sempre lavorato negli organici della ditta. Taubman, con grande forza d’animo, invecchia tranquillamente con un impero dimezzato e la stima di tanti.
Veniamo ai nostri giorni. Taubman è morto lo scorso aprile. Si sapeva bene che non correva buon sangue tra la vedova Judy, ex reginetta di bellezza e arrampicatrice sociale (ma estremamente leale al marito) e i tre figli. Ricordiamo poi che uno dei figli siede anche nel consiglio d’amministrazione di Sotheby’s e che la famiglia ha ancora interessi finanziari nell’azienda.
Immediatamente i figli decidono la vendita della collezione del padre e si recano da Sotheby’s, l’azienda di famiglia in tutti i sensi della parola. Ottengono una garanzia di 300 milioni di dollari per la collezione. Pratica normale, anche se in questo caso non dimostrano molta fiducia nella loro ditta. Anzi, si mettono in contatto con Christie’s (l’azienda che ha grandi colpe per avere mandato il loro papà adorato in galera) e ottengono una controfferta molto allettante, tornano da Sotheby’s e ottengono una garanzia fenomenale di 500 milioni.
Da Sotheby’s il management è totalmente cambiato: Bill Ruprecht, silurato per volontà di un altro azionista rapace, Daniel Loeb, avido di megadividendi, è stato rimpiazzato dalla coppia De Sole-Tad Smith, rispettivamente ex Gucci e Madison Square Garden: due persone che conoscono poco o niente del mercato dell’arte, e quindi accordano una garanzia delirante di 500 milioni di dollari. Ruprecht, conoscendo la famiglia da trent’anni, avrebbe saputo benissimo come uomo del mestiere trovare gli argomenti giusti per convincerli della follia di quest’impresa.
Ma il peggio deve ancora arrivare. L’appartamento di Londra di Al Taubman rimane proprietà dei figli con usufrutto alla vedova. I figli hanno fatto cambiare le serrature di casa, la vedova arriva ignara dell’aeroporto con dieci valigie e trova le porte chiuse. Piuttosto di fissare una camera al Claridge, l’albergo di fronte a casa, chiama i fotografi per farsi immortalare sul marciapiedi con le sue valigie ben allineate: la foto viene ripresa dai media di tutto il mondo. «Vanity Fair» la settimana prima dell’asta pubblica un lungo articolo documentatissimo.
L’effetto è devastante. Risultato della prima sera, un incasso di 377 milioni di dollari, cifra ben lontana dai 500 attesi. Con la seconda giornata arriviamo a 420 milioni, rimangono diversi quadri e oggetti a destra e a sinistra da vendere. Nel migliore dei casi il totale dei lotti venduti, commissioni incluse, coprirà a malapena la garanzia di 500 milioni, senza nessun guadagno sulle commissioni per Sotheby’s e senza alcuna copertura per i fenomenali costi di logistica dell’asta.
Oltre a ciò, le vendite private di Sotheby’s del terzo trimestre sono precipitate del 45% per raggiungere solo 85 milioni, essendo l’attenzione degli esperti focalizzata sull’asta Taubman. Questo vuole dire licenziamenti, chiusure di sede, riduzioni di stipendi, l’elenco è lungo… per gli impiegati di Sotheby’s sarà la quarta volta in meno di vent’anni, per colpa di una famiglia avida e un management non in grado di opporsi.
Wall Street sta già anticipando questa svolta: l’azione di Sotheby’s va giù, giù, giù. La memoria di Al Taubman meritava anche meglio. Unica consolazione per lo staff e gli azionisti di Sotheby’s, il (caro!) Tad Smith neopresidente ha uno stipendio di 1,4 milioni di dollari e un bonus e delle stock option per 5,8 millioni di dollari: basta che rinunci per alcune decine di anni a questi vantaggi e i conti tornano.
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