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Lessico futurista a Palermo

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Redazione GDA

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Ai cataloghi generali di Baj, Fontana, Guttuso, Vacchi e Pajetta Enrico Crispolti aggiunge il presente a distanza di 36 anni dalla monografia Vittorio Corona. Attraverso il Futurismo, di cui riprende il titolo. Già in essa la vicenda artistica dell’artista palermitano era stata ricostruita compiutamente, tanto che l’autore la riproduce per intero, prima della premessa su «metodo, struttura e questioni connesse» del catalogo generale. Premessa che arricchisce non poco il tragitto esegetico della produzione, ricostruendo i problemi cronologici delle prime stesure delle opere e delle postbelliche ricostruzioni memoriali delle opere andate distrutte nei bombardamenti di Palermo o delle repliche, realizzate tra fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta, allorché il Futurismo ebbe una riconversione dell’interesse critico, sollecitando vari artisti (da Severini, Balla, Depero, Prampolini a Crali, Marasco, Pannaggi, Oriani ecc.) a tornare al lessico futurista. Le vicende espressive di Corona, che negli anni Venti e Trenta assieme a Giovanni Varvaro e Pippo Rizzo formò il nucleo futurista di Palermo, sono «ragionate» in sette capitoli tematici. Ne sorte una ricostruzione accurata dell’intero corpus, pervenutoci e finora conosciuto, dell’artista palermitano, anche in virtù dell’ausilio dell’Archivio Eredi Corona, che rende la pubblicazione strumento fondamentale sia per gli studi futuri sia per i collezionisti, soprattutto in virtù delle attente e precise indicazioni contenute nella nota 20 (pp. 39-40) sui falsi, che soprattutto dagli inizi del 2000 hanno cominciato a essere esposti con l’avallo della studiosa Anna Maria Ruta. In questa nota Crispolti riferisce che, a causa di «eccessiva fiducia e riprovevole insufficiente vaglio», aveva inserito un paio di questi fasulli «inediti» nella mostra «Futurismo 1909-1944» da lui curata nel 2001 a Roma nel Palazzo delle Esposizioni. Una palinodia del genere conferma l’onestà deontologica (e non solo) propria a Crispolti, purtroppo non molto comune tra gli storici d’arte in Italia.

P.s. Dopo la consegna della mia recensione, leggo su «la Repubblica» del 13 maggio che Anna Maria Ruta ha querelato Crispolti, come pure ha fatto il gallerista Salvatore Carbone, il quale sostiene che tutte le opere da lui trattate provengono dalle case dei pittori e dei parenti di essi. Lascio, quindi, ai giudici l’ardua sentenza, come tutte quelle attinenti all’autenticità delle opere d’arte. Ah, se le opere parlassero e potessero raccontare la loro storia!

Redazione GDA, 03 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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