Gilda Bruno
Leggi i suoi articoliChe siano pin-up di tempi ormai andati, icone del cinema o perfette sconosciute, le protagoniste dei collage di Astrid Klein, artista tedesca classe 1951, portano con sé un che di misterioso. È quasi come se, una volta inserite in uno dei suoi vasti «Fotoarbeiten» monocromatici, queste assumessero una dimensione del tutto nuova, più intima e soggettiva, lontana dallo sguardo maschile che, sino ad allora, ne ha influenzato l’interpretazione.
Dalla romana Monica Vitti, anima di numerosi film di Michelangelo Antonioni e partecipe del periodo d’oro della cinematografia italiana, a Brigitte Bardot, sono molti i volti femminili che danno vita alle opere multimediali di Klein, la cui pratica incorpora disegno, pittura, scrittura, fotografia oltre a installazione e scultura. Lo stesso accade nella sua nuova personale allestita da Sprüth Magers a New York, dal 13 gennaio fino ai primi di marzo.
Intitolata, semplicemente, «Astrid Klein», la mostra invita il pubblico ad abbracciare la ricerca della poliedrica autrice, una delle più concettuali e allo stesso tempo note della scena artistica tedesca. Non solo, ma concependo la sua produzione come una reazione fondamentalmente europea al lavoro portato avanti a partire dagli albori degli anni Settanta dalla cosiddetta «Pictures Generation» negli Stati Uniti, la vetrina celebra il contributo di Klein alla fotografia su larga scala mettendo a fuoco la genialità della sua visione femminile.
A 50 anni dall’inizio della sua carriera, la galleria, nota per avere ospitato alcune delle prime personali di artisti come George Condo, Jenny Holzer, Barbara Kruger, Louise Lawler e Cindy Sherman, ospita il debutto newyorkese dell’artista tedesca. Radicata nella fiscalità e nei principi estetici propri del collage, l’arte di Klein «esamina, decostruisce e rinnova il rapporto tra immagine e testo per mettere in discussione le strutture di potere prevalenti e le modalità di percezione e rappresentazione, si legge in un comunicato rilasciato in occasione dell’evento. Nelle sue opere multistrato, l’artista combina materiale artistico tratto dalla filosofia, dalla letteratura, dal discorso politico e dal cinema stabilendo così nuovi legami di significato».
A tappezzare le ampie pareti della sede newyorkese di Sprüth Magers sono le visioni presentate all’interno di due delle serie più storiche ed acclamate di Klein: una selezione tratta dal suo corpus «photoworks» del 1979 è giustapposta a tele appartenenti alla sua collezione visiva «White Paintings» (1988-93), due progetti che catturano i cardini fondamentali e il fascino inarrestabile del lavoro dell’artista tedesca.
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