Una veduta dell’allestimento della mostra «Milleventi» di Laura Castagno

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Una veduta dell’allestimento della mostra «Milleventi» di Laura Castagno

La ricerca intimista di Laura Castagno

La mostra da Rocca Tre è occasione per una chiacchierata tra la curatrice Olga Gambari e l’architetto, artista e designer torinese

Laura Castagno è protagonista di una personale alla galleria Roccatre, che ho avuto il privilegio di curare (sino all’8 novembre). Una grande artista, classe 1938, le cui ricerche iniziano negli anni Sessanta, che è l’espressione perfetta di quel mondo artistico e culturale torinese dove la città era un crocevia di figure intellettuali diverse, dove i linguaggi erano naturalmente già contaminati, in un’osmosi tra umanesimo e scienza. Come altre figure femminili, valore, talento e risultati non sono andati di pari passo con i riconoscimenti. Ma non è mai troppo tardi per conoscerla.
«Milleventi» è una mostra che prende l’identità di una grande, unica installazione, pensata come una storia di cerchi, metafore di forme geometriche, pensieri, evocazioni, emozioni. Cerchi realizzati in dimensioni, colori e con gestualità diverse, attraverso decenni.
L’installazione vive tutta dentro alla stanza principale della galleria, mentre sono sparsi in giro dei dettagli che mettono a fuoco particolari momenti sia dell’installazione stessa sia della mia vita di artista.

Il cerchio è una figura protagonista della tua ricerca, della tua formazione.
La presenza del cerchio è sempre stata molto forte, ne realizzo di continuo ma ciascuno è un soggetto unico, mai identici ma simili, memorie di gesti a loro volta unici. Vivono su carte diverse e anche su fogli industriali usati negli imballi delle bottiglie di plastica, sui quali traccio segni sintetici e computazioni di alfabeti, di frasi, per esempio nell’opera che ispirata a “Finnegans Wakedi” James Joyce. Mi sono sempre interessata a un’architettura organica, capace di mostrare personalità, presenza, e così abbiamo progettato questa mostra, che raccoglie molti lavori sul cerchio rosso, una libera composizione che entra in dialogo con altri colori, il nero e il blu, il giallo. Poi ci sono anche cerchi su carte piegate, segnature come mie impronte, con personalità diverse, come ero io in quel momento. Identità date dalla combinazione del colore e della mia volontà, forme astratte che diventano identificative nello spazio, vive.
Parti da segni e forme astratte per tradurle in alfabeti, in scritture personali. Iconografie immaginifiche che si originano dal tuo rapporto con codici geometrici e modulari e insieme dal tuo amore per la letteratura.
Mi lascio ispirare dalla letteratura, metto giù appunti tratti da poesie e romanzi facendoli diventare delle forme assolute nello spazio. In una serie aperta dal titolo “Convivio Italiano”, ci sono incipit trascritti da opere della letteratura che hanno parlato del paesaggio italiano. Thomas Mann, Pasolini, Goethe, Salvatore Di Giacomo, Vittorio Sereni e Rilke che splendono nel momento dell’incipit. In altre, invece, scrivo con lettere di un mio alfabeto inventato, una scrittura anche esoterica, simbolica, in cui uso l’oro, con un valore sacrale della parola. In «I love you earth», invece, opera dedicata alla Terra evocata nella forma di un cerchio azzurro, ripeto la frase del titolo dandole una specie di astrazione, un mantra il cui significato diventa rituale.

A volte la poesia entra direttamente nei lavori, per esempio nel libro d’artista Mille venti, che abbiamo trasformato nel titolo della mostra giocando sulle due parole fuse, immaginando un vento ideale formato dai movimenti di tutti i cerchi che sono nello spazio della galleria, dove si muovono liberti, tra visione e realtà, idea e segno. 
In “Mille venti” avevo catalogato i venti del mondo. È stata una di quelle situazioni in cui il caso mi ha ispirato, e io sono sempre molto ricettiva verso il caso, ne sto in ascolto. Ho incontrato un libro che segnalava tutti i venti della Terra e ne ho trascritti gli oltre mille nomi, dall’antichità all’oggi, di tutti i continenti e lingue e culture, su tavole sciolte, in scrittura a pennello color oro. Nomi e in mezzo miei pensieri e poesie sparse.
Paul Klee
“Teoria della forma e della figurazione” è un testo fondamentale della mia vita, le sue lezioni, i suoi schizzi e le sue parole sono state di riferimento. Da lui ho imparato il concetto guida del modulo, che è architettonico, una nota musicale, una forma geometrica, il colore che si ripete e modifica, una lettera. Con lui inizia il mio viaggio nei primi anni Sessanta, che si fa materia utilizzando mezzi molto semplici, per esempio la carta velina, che con la piegatura diventava elemento costruttivo. Esempi di queste opere sono nell’altro spazio della galleria, che disegna una sorta di percorso storico nel mio lavoro.

Parlando di scultura, crei piccole opere che sembrano maquette compresse di esplosioni di possibilità, e insieme grandi installazioni.
Le reti metalliche che impiego hanno una struttura aperta e modulare con una valenza plastica e pittorica. Si lasciano percorrere da segni, sono dei sostegni a discorsi di segni, di tracce di colore, come l’opera che ho installato nel giardino di Villa della Regina per «Arte alle Corti», «Albero dei segni», un monumentale cilindro con elementi di metacrilato colorati come fossero pennellate, tratti di linee. È una forma ma anche un sostegno flessibile di altre forme e del movimento, perché gli elementi non sono mai fissi ma ondeggiano, una condizione evolutiva e vitale.
 

Una veduta dell’allestimento della mostra «Milleventi» di Laura Castagno

Una veduta dell’allestimento della mostra «Milleventi» di Laura Castagno

Una veduta dell’allestimento della mostra «Milleventi» di Laura Castagno

Olga Gambari, 23 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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