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Tina Lepri
Leggi i suoi articoliNella duecentesca Chiesa di San Francesco si sono conclusi i lavori resi necessari dalle infiltrazioni d’acqua dal tetto che rovinavano la Cappella maggiore affrescata tra il 1388 e il 1392 dal pittore pistoiese Antonio Vite.
La chiesa è nota anche per una splendida tavola del 1235 di Buonaventura Berlinghieri, tra le rappresentazioni più antiche di san Francesco. Avviato nel 2011, l’intervento sulle pareti decorate si è rivelato assai complesso e ha costretto i restauratori a scelte cruciali. A causa della cattiva conservazione, alcune scene mariane erano già state scialbate nel corso del Seicento: nel 1718 la chiesa era stata poi stravolta per darle un aspetto barocco e la trasformazione aveva coinvolto anche il resto dell’antica decorazione, in pratica scomparsa. Tra il 1923 e il 1930 nuovi interventi hanno riportato alla luce le pitture del Trecento. A operare furono restauratori abilissimi, ma anche pittori e decoratori diretti da Amedeo Benini. Fu deciso di ripristinare gli affreschi originali reintegrandoli delle parti mutilate o mancanti con la tecnica del buon fresco e un largo uso di oro zecchino. Tutto cambia di nuovo nel 1970. Interviene un restauratore famoso, Leonetto Tintori, che giudica incongrui i rifacimenti di Benini e li scialba lasciando in vista soltanto le parti strettamente originali. Questo era lo stato delle cose nel 2011 quando sono iniziati i lavori finanziati dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, dall’Ordine dei Frati minori Conventuali e dalla Cei.
Il restauro degli affreschi della cappella absidale, affidati alla storica dell’arte Maria Cristina Masdea della Soprintendenza di Firenze, Pistoia e Prato ed eseguiti dalla restauratrice Lidia Cinelli, ha posto subito il problema di fondo: rispettare il rigore storico usato negli anni ’70 con larghe parti scialbate o riportare in vista l’immagine complessiva con le integrazioni del 1930? Dopo indagini chimiche, stratigrafiche e storiche condotte con il contributo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, Maria Cristina Masdea e Lidia Cinelli hanno iniziato ad asportare lo scialbo. «La decisione, hanno sottolineato, non è stata facile ed è stata il frutto di molti ripensamenti. Poi lo stupore e la meraviglia nel ritrovare le parti pittoriche nascoste, solo in parte originali, e l’ammirazione per l’abilità tecnica dei pittori-restauratori novecenteschi ci ha convinte. Si è ritenuto inoltre che la storia degli affreschi di Pescia possa essere emblematica per ricostruire la storia più ampia del restauro in territorio fiorentino e pistoiese». Così ora, nella Chiesa di San Francesco, gli affreschi sono interamente leggibili grazie alle reintegrazioni del 1930.
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