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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliLa nascita di questa straordinaria mostra dedicata a Paul Strand si deve alla recente acquisizione da parte del Philadelphia Museum of Art di un nucleo di oltre tremila immagini del maestro statunitense, nato nel 1890 e morto a Orgeval in Francia nel 1976. Presentata oltreoceano lo scorso anno (cfr. n. 347, nov. ’14, p. 50), il 7 marzo inizia invece il suo tour europeo dal Fotomuseum di Winterthur, tour che la porterà poi alla Fundación Mapfre a Madrid e al Victoria and Albert Museum a Londra (fino al 17 maggio, a cura di Peter Barberie con Amanda Bock).
Cento anni sono ormai passati dalla realizzazione delle prime fotografie in mostra, quelle vedute newyorkesi con le quali il giovane artista iniziava ad affrancarsi dall’ancora dominante vulgata pittorialista per divenire, nel giro di pochissimi anni, la figura di riferimento della «fotografia diretta», grazie anche al formidabile intuito del suo primo mentore, Alfred Stieglitz. Sono immagini nelle quali è leggibile lo sforzo dell’intera cultura americana di fare proprie e rielaborare in una lingua nuova le suggestioni provenienti dalle amatissime avanguardie europee, da Cézanne a Picasso; uno sforzo, va detto, che in ambito fotografico dà immediatamente risultati altissimi.
Ma la mostra assume un particolare interesse anche e forse soprattutto per la capacità di evidenziare il seguito della carriera di Strand, spesso posto in ombra dalla grandezza della sua prima stagione. A partire dalle fotografie realizzate nel Sud degli Stati Uniti e in Messico fra il 1930 e il 1934, per giungere agli anni del dopoguerra, caratterizzati dalla pubblicazione di importanti libri fotografici. Tra questi ultimi spicca, naturalmente, Un paese, realizzato a Luzzara nel 1953 (pubblicato nel 1955 da Einaudi e posto in vendita alla certo non modica cifra di 3mila lire) insieme a Cesare Zavattini: all’analisi approfondita di questo autentico monumento della fotografia in Italia è peraltro dedicato ampio spazio anche nel bellissimo catalogo che accompagna la mostra, in una conversazione tra i curatori e diversi studiosi, tra cui Anna Maria Pellizzari.
Insieme ad esso, vanno segnalati anche i libri successivi, dedicati alle isole Ebridi, all’Egitto, alla Romania e al Ghana, nati fra la metà degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta, testimonianze della costante ricerca di Strand dell’equilibrio tra l’implacabile attenzione al dato formale e la volontà di interpretare le dinamiche sociali dei Paesi in questione. Una grande lezione di fotografia, ancora attuale nella sua classicità.
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