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La giusta rotta verso l’Africa

Centinaia di pezzi per cinque millenni di arte e storia africana

L’Africa è il più antico continente popolato ma la sua storia è ancora spesso fraintesa. «Pensiamo di conoscere l’Africa, ma abbiamo pregiudizi», afferma Gaëlle Beaujean, direttore delle collezioni africane al Musée du Quai Branly-Jacques Chirac, che con la storica Catherine Coquery-Vidrovitch ha organizzato un’importante mostra per «rimettere il visitatore nella giusta rotta». Il titolo francese della mostra, allestita dal 31 gennaio al 19 novembre, allude alla sua ambizione attraverso un doppio significato.

«L’Afrique des routes» (L’Africa delle strade) suona infatti anche come «L’Afrique déroute» (l’Africa lascia perplessi). Con notevoli prestiti e 220 oggetti dai depositi del Quai Branly, molti mai esposti prima, la mostra ripercorre cinque millenni di storia africana attraverso le reti commerciali che attraversavano il continente molto prima del colonialismo. Tra questi, una pietra (6500-2500 a.C.) dal deserto del Sahara, incisa con l’immagine di una giraffa dal Musée d’Archéologie Nationale di Saint-Germain-en-Laye. Gran parte dell’Africa resta per gli archeologi un territorio inesplorato. «Gli scavi, fatta eccezione per l’Egitto, sono molto recenti», dice Beaujean.

Sono pochi i musei occidentali con collezioni africane, eredità della conquista europea nel XIX e XX secolo, ad aver concesso i loro pezzi. «Per più di un secolo erano oggetti e opere senza artista o data», aggiunge Beaujean. In vista della mostra, dieci delle 5mila terrecotte del Quai Branly provenienti da Djenné nel Mali, una delle più antiche città note nell’Africa subsahariana, sono state testate alla termoluminescenza, scoprendo che sono molto più antiche di quanto il museo credesse: una risale addirittura al II secolo a.C.

Una sezione della mostra è dedicata a oggetti e opere d’arte che circolavano nell’Africa precoloniale, comprese perle da Persia e India, avori afro-portoghesi, monete d’oro islamiche e porcellane cinesi. Un’altra sezione esamina il diffondersi delle religioni, tra cui il culto afroamericano di Mami Wata, la divinità sirena-madre spesso ritratta come serpente ammaliatore. Beaujean spiega che il simbolo, diffuso dai marinai africani e ancora presente nella pratica contemporanea, potrebbe ispirare una rassegna ad hoc al Quai Branly nei prossimi anni. Per quanto «inevitabilmente incompleta», la mostra si chiude con opere di artisti della diaspora africana ormai affermati come William Kentridge, Kader Attia e Yinka Shonibare

Hannah McGivern, 11 gennaio 2017 | © Riproduzione riservata

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La giusta rotta verso l’Africa | Hannah McGivern

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