Immagine della mostra «Everybody Talks About the Weather». Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti. Cortesia: Fondazione Prada. In primo piano: «Moody (Variations)» (2023), di Nina Canell. Cortesia dell’artista e kaufmann repetto Milano / New York. Da sinistra a destra: «Wind Study (Hilbert Curve)» (2017), di Jitish Kallat. Cortesia dell’artista e di Templon, Parigi-Bruxelles-New York; «Tsunami» (2005), di Richard Onyango. The Jean Pigozzi African Art Collection, Ginevra. «In Alvorada, in Brazil, Vera Juanqueira wove wool yarn the color of night and the same lenght as the distance from the earth to above the weather», di Jason Dodge. Collezione Marco Ghigi, Bologna

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Immagine della mostra «Everybody Talks About the Weather». Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti. Cortesia: Fondazione Prada. In primo piano: «Moody (Variations)» (2023), di Nina Canell. Cortesia dell’artista e kaufmann repetto Milano / New York. Da sinistra a destra: «Wind Study (Hilbert Curve)» (2017), di Jitish Kallat. Cortesia dell’artista e di Templon, Parigi-Bruxelles-New York; «Tsunami» (2005), di Richard Onyango. The Jean Pigozzi African Art Collection, Ginevra. «In Alvorada, in Brazil, Vera Juanqueira wove wool yarn the color of night and the same lenght as the distance from the earth to above the weather», di Jason Dodge. Collezione Marco Ghigi, Bologna

La crisi climatica vista con gli occhi dell’arte contemporanea

A Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della Fondazione Prada, un lungo elenco di artisti selezionato da Dieter Roelstraete

«Certamente sarebbe inesatto affermare che la crisi climatica è sottovalutata, sia nel campo dell’arte contemporanea sia in quella della letteratura. Una delle tesi centrali di questa mostra, tuttavia, è che la crisi climatica continua ad avere un ruolo inspiegabilmente marginale nel contesto mainstream dell’arte contemporanea, ovvero nel mondo dei grandi musei e delle biennali. Le ragioni di questa marginalizzazione, quella che potremmo definire la “grande cecità” (vedi lo scrittore e antropologo indiano Amitav Ghosh), sono molteplici, ma una di queste deve essere sicuramente un certo senso di colpa o di vergogna in quanto facciamo parte del mondo dell’arte globale. Lascio al visitatore il compito di riconoscere gli insegnamenti che si possono trarre da questo progetto, ma voglio richiamare l’attenzione sul fatto che si tratta anche “solamente” di una mostra d’arte»: così Dieter Roelstraete, curatore della mostra «Everybody talks about the weather» allestita a Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della Fondazione Prada, dal 20 maggio al 26 novembre.

A pianoterra una grande ledwall trasmette in modalità loop le previsioni del tempo estratte da media tradizionali e online di tutto il mondo. Al primo piano sono distribuite le opere d’arte storiche come le riproduzioni di «La tempesta» di Giorgione o di «Il mare di ghiaccio» di Caspar David Friedrich del 1823 o, in tempi più ravvicinati, il dipinto «Sole e brina», lirica interpretazione di Plinio Novellini, databile tra il 1905 e il 1910.

Originali i «Carotaggi» (Venezia) ovvero tubi di perforazione in acciaio e pvc di Giorgio Andreotta Calò del 2014. In tema di materiali artificiali si evidenzia la serie «Plastic Horizon» di Dan Peterman realizzata con plastica Pcr di prima generazione sui temi dell’inquinamento.

L’elenco degli artisti esposti è lungo e comprende nomi prestigiosi quali Gerhard Richter e Thomas Ruff. Ma i più coinvolti sono ovviamente gli artisti del Sud del mondo (un esempio per tutti «Tsunami» di Richard Onyango) perché non si può negare che i cambiamenti climatici hanno un risvolto geopolitico. «L’allarmante innalzamento dei mari mette infatti in pericolo la vita di milioni di persone che vivono nel Bangladesh come conseguenza delle scelte economiche, politiche e sociali compiute nel Nord del mondo secoli fa, puntualizza Roelstraete. Un esempio particolarmente tragico di questa dinamica è rappresentato dalla prospettiva catastrofica di ondate di calore sempre più letali che colpiscono in particolare il subcontinente indiano».

E Venezia? «Nessuna città è più adatta a richiamare l’attenzione su questo disastro antropogenico. Venezia ha a disposizione settantasette anni per dimostrare in modo sufficientemente convincente che il mondo deve cambiare strada».

Immagine della mostra «Everybody Talks About the Weather». Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti. Cortesia: Fondazione Prada. In primo piano: «Moody (Variations)» (2023), di Nina Canell. Cortesia dell’artista e kaufmann repetto Milano / New York. Da sinistra a destra: «Wind Study (Hilbert Curve)» (2017), di Jitish Kallat. Cortesia dell’artista e di Templon, Parigi-Bruxelles-New York; «Tsunami» (2005), di Richard Onyango. The Jean Pigozzi African Art Collection, Ginevra. «In Alvorada, in Brazil, Vera Juanqueira wove wool yarn the color of night and the same lenght as the distance from the earth to above the weather», di Jason Dodge. Collezione Marco Ghigi, Bologna

Lidia Panzeri, 19 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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La crisi climatica vista con gli occhi dell’arte contemporanea | Lidia Panzeri

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