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La chiesetta coloniale non piaceva ai parrocchiani

Anna Orlando

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«Troppo piccola per il nostro villaggio». Queste sarebbero le giustificazioni addotte da una comunità religiosa di San Pablo del Monte, poco distante da Tlaxcala, Messico, sulla via che collega Vera Cruz a Città del Messico, per aver distrutto con le gru lo scorso 26 luglio la chiesetta del Santo Cristo. Si è polverizzato in poche ore un edificio in tipico stile coloniale costruito dai francescani nel XVIII secolo, ampliato con due torri nel XIX secolo e con una sacrestia in quello successivo.

Le rovine di uno dei 110mila monumenti messicani catalogati dall’Instituto Nacional de Antropología e Historia (Inah) sono state portate fuori dal Paese in un canyon, e al posto della chiesetta c’è ora un terreno vuoto. E un gran polverone di accuse.
Stando alla stampa locale, non sarebbe colpa del parroco, ignaro del fatto, ma della comunità di circa 500 famiglie che la frequentavano e che da tempo stavano raccogliendo fondi per costruire un edificio più grande. Siamo lontani da quel paesino, e poco ci importa da qui capire di chi sia la responsabilità dal punto di vista legale.

Ci interessa questo «caso limite», che è anche al limite dell’assurdo, per ricordare fino a che punto può arrivare l’ignoranza del valore storico-artistico di ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Fatto, questo, che invece ci tocca da vicino.
Una minima infarinatura di Storia dell’Arte dispensata alla comunità non avrebbe portato a tanto, perché almeno qualcuna delle 500 famiglie di San Pablo si sarebbe sollevata per difendere quel bene. Quindi suona assurdo anche il rimedio che le autorità immediatamente hanno proposto: più sicurezza, più controlli.

Sarebbe meglio, piuttosto, più Storia dell’Arte nelle scuole.

Anna Orlando, 13 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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