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Emmanuele Bo
Leggi i suoi articoliCaravaggio è certamente una delle personalità della storia dell’arte più studiate e sviscerate, oggetto di mostre e documentari. Dal 21 novembre al 10 aprile, con l’esposizione «Caravaggio e il suo tempo», la Fondazione Cosso del Castello del Miradolo prova a offrire nuovi spunti legati al maestro lombardo e a quegli artisti rimasti affascinati dalla sua potenza e dal suo genio. E lo fa affidando la curatela della mostra a Vittorio Sgarbi, affiancato dallo storico dell’arte Antonio D’Amico. Nel maniero neogotico pinerolese, il percorso riunisce circa 40 dipinti provenienti da istituzioni museali e da collezioni private italiane ed estere. Tre le sezioni: dalla giovinezza e dai maestri di Merisi, fino al suo intenso rapporto con la natura morta. Snodo centrale della mostra è la «Maddalena» di Caravaggio della Galleria Doria Pamphilj di Roma, nella quale, secondo Sgarbi, «la verità del pentimento espresso dalla Maddalena è qui tradotto senza orpelli e senza l’artificio del devozionale e del religioso». Nella terza e ultima sezione vengono approfonditi i numerosi artisti che guardarono con attenzione alle novità portate da Merisi, fra cui il senese Rutilio Manetti, il genovese Gioacchino Assereto, il ticinese Giovanni Serodine, il calabrese Mattia Preti e lo spagnolo Jusepe de Ribera. La mostra si chiude infine con un doppio enigma dell’arte caravaggesca. «Gli studiosi, compreso Longhi, ci dicono che Caravaggio non si ripete, spiega D’Amico. Questo non è però così scontato: recenti indagini diagnostiche ci hanno dimostrato che potrebbe non essere così. Esiste una serie di repliche, probabilmente autografe del Merisi. Due di queste chiudono la mostra di Miradolo. La prima è il “San Francesco in estasi” della Galleria d’Arte antica dei Musei Civici del Castello di Udine, gemella di quella americana del Wadsworth Atheneum di Hartford, caratterizzata da elementi tipici del maestro lombardo, ma probabilmente rifinita da un’altra mano. La seconda è il “San Francesco in meditazione” di Malta, tela mai vista in Italia e a mio avviso ancora più bella della gemella di Carpineto Romano».
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