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L’inglese di Lucca

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Redazione GDA

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Carlo Orsi ricorda  John Winter, antiquario, connoisseur e fondatore degli Amici di Doccia

Ciò che ho sempre invidiato a John Winter (che è mancato a 70 anni, pochi giorni prima di Natale, nella sua bella casa fuori Lucca) era l’occhio fulmineo con cui identificava l’oggetto di valore. Benché conoscesse i dipinti e i disegni, e ben al di là della sua expertise sui bronzi, nonché della padronanza assoluta della porcellana, a cominciare da Doccia, ciò che stupiva in lui era l’impulso diretto, istantaneo, con cui identificava la qualità, che per l’amante dell’arte, prima ancora che per il mercante, è la rarità dell’opera, l’immediata e folgorante unicità, che ben più della bellezza o della mera gradevolezza fa di un ottimo lavoro un capolavoro. In questo approccio John era egli stesso unico nel nostro tempo, sicché è solo paragonandolo ad antiquari di altre generazioni (non posso, e me ne scuso, che pensare a mio padre Sandro Orsi) che si trova un simile amore per l’arte a prescindere dall’aspetto commerciale.

Mi sono spesso chiesto, negli oltre trent’anni di amicizia, collaborazione, viaggi e affari che mi hanno legato a John, da dove gli venisse quell’impulso. E benché fosse ovvio che la sua connoisseurship non era scienza infusa ma veniva da intensa osservazione e lunga consuetudine, mi era difficile avere da lui qualcosa di più di uno «sketch» del suo passato. In più c’era l’amore per l’Italia e per la civiltà italiana sicché, come Bernard Berenson, Winter faceva di Firenze il centro dell’arte europea o perfino mondiale, e come Harold Acton non poteva che insediarsi entro le sue mura. Ricordo ancora come la sua bella casa di piazza San Francesco di Paola, con la porta d’ingresso che si apriva su un giardino segreto, fosse uno scrigno di pace, benessere, cultura.

I Winter erano in verità tedeschi che nell’800 emigrarono in Australia. Carl Winter, trasferitosi in Inghilterra nel 1928 per studiare a Oxford, si unisce in matrimonio nel 1936 con Theodora Barlow, figlia di Sir Thomas e Lady Barlow, upper class di Manchester e Londra, agiati e colti collezionisti d’arte. John nasce nel marzo 1944 a Aylesbury. Durante la guerra la madre Theodora è sfollata a Wendover con i figli dal blitz di Londra; il padre Carl è curatore al Victoria & Albert Museum. Ma già nel ’46 la famiglia va a Cambridge, dove Carl è diventato direttore del Fitzwilliam: i piccoli Winter giocano nelle sale del museo come a casa. Carl s’accorge presto che il figlioletto ha occhio, e gli regala la sua raccolta di cartoline, che sarà la prima collezione di cui John diventerà curatore. Carl, ormai divorziato da Theodora ma sempre vicino alla famiglia, porta un paio di volte il figlio in vacanza con sé in Italia.

Gli inglesi hanno il «gap year» prima dell’università, per conoscere il mondo. John lo mette a frutto, va a Perugia per imparare davvero l’italiano e per girare, su uno scooter di seconda mano, tra Umbria e Toscana, alla scoperta di Giotto e Piero della Francesca. Ritornato a casa, è accettato al Trinity College a Cambridge, e studia economia e storia dell’arte con Michael Jaffe. Il 1966 è l’anno di svolta: si laurea con una tesi su Tintoretto, perde il padre Carl per un precoce infarto e sposa Alison Bruce, che gli darà un figlio, Alexander.

Non pensa di fare il curatore o il direttore di un museo, ma vuole diventare regista di cinema. Ci prova subito, a Roma, e partecipa alla produzione di «Riflessi in un occhio d’oro», dove John Huston dirige Marlon Brando ed Elizabeth Taylor, e appare perfino in «L’uomo venuto dal Kremlino», con Anthony Quinn. Ma nel cinema non sfonda e torna a Londra, dove fa un anno di apprendistato da Sotheby’s, sotto la guida del celebre Derek Shrub, in oggetti d’arte e bronzi: c’è una foto dove lo si vede, da banditore, aggiudicare un bronzo del Bernini. E gli vengono a frutto gli studi di economia quando, nel ’74, Sotheby’s lo manda a rimettere in sesto la dissestata (finanziariamente) sede di Firenze, a palazzo Capponi. Il suo successo gli spalancherà la vita futura: crea la Sotheby’s di Milano e poi si mette in proprio, nel 1984 con Jonathan Mennel e Jock Palmer, aprendo Trinity Fine Art, con sedi a Londra e Milano, direttrici Alexandra Toscano e Silvia Hunte.

Come antiquario italiano voglio segnalare un grande merito di John, per il quale sarà sempre ricordato. Nel 2003, grazie all’expertise accumulata sulla porcellana Ginori, Winter ha potuto creare dal nulla l’Associazione Amici di Doccia, che produce ricerca sull’antica manifattura, organizza mostre, promuove la conoscenza della porcellana italiana. Noi italiani pensiamo che Ginori sia un nome universalmente noto, e certo è così, ma nel mondo l’arte di Doccia sconta la supremazia del nome Meissen, che la precedette di pochi anni e non la sopravanza in assoluta qualità, se non di Sèvres, Limoges o altre successive manifatture. Che l’inglese John Winter, un mercante, abbia voluto creare un’istituzione per la cultura italiana, e che l’abbia presieduta fino alla morte, è insieme un merito e un monito a noi che restiamo. Anche perché l’amore per l’arte non esclude il business: quando John scovò in Inghilterra una delle grandi figure disperse di Doccia, un Paride pastore del 1745, splendido e unico, non tardò a trovare il compratore, e fare l’affare: oggi quel bianco splendente, alto come un bambino, sta a Vienna, ambasciatore della nostra arte, al Museo Liechtenstein.

Redazione GDA, 10 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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