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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliA oggi 326 concessioni. È la Basilicata il Texas d’Italia
Lo scorso 19 gennaio la Corte costituzionale ha ammesso un referendum con il quale si chiederà, entro il prossimo giugno, ai cittadini italiani se intendano abolire o meno il divieto di attività di analisi, ricerca e coltivazione di idrocarburi nel mare entro le 12 miglia marine.
Tornano al centro dell’attualità politica le trivellazioni che, in mare e in terra, in Italia sono un numero altissimo come riporta il «Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse» redatto dal Ministero dello Sviluppo economico, guidato dall’emiliana Federica Guidi.
Un quesito tecnico, il prossimo referendum, che ha assunto però valenza politica, come dimostrano le accese polemiche a partire dallo scorso dicembre, con l’approvazione della Legge di stabilità nella quale il Governo ha inserito normative che hanno fatto andare su tutte le furie gli ambientalisti. Nove regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) hanno proposto numerosi cambiamenti, con il ricorso al voto popolare.
Tutti quesiti referendari bocciati dalla Cassazione o non ammessi dalla Consulta in gennaio, tranne appunto quello citato. Se Palazzo Chigi ha messo per iscritto nella Legge di stabilità che le concessioni per le trivellazioni vanno rilasciate «per la durata di vita utile del giacimento», le associazioni ambientaliste Wwf, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club ribattono che «si tratta di un favore ai petrolieri tanto che il Governo aveva classificato le trivellazioni come opere strategiche».
L’esponente verde Angelo Bonelli, ad esempio, parla di «assalto delle lobby petrolifere» mentre il presidente della Puglia Michele Emiliano (Pd) ha detto che «trivellare il nostro mare è una vergogna e una follia». Secondo gli ambientalisti, infatti, non produrrebbero danni alla fauna marina soltanto le trivelle, ma anche la preventiva tecnica «airgun», gli spari ad altissimi decibel che servono a individuare i giacimenti sotterranei.
Che l’Italia e i mari che la cingono, soprattutto l’Adriatico, siano molto «bucherellati» lo confermano i dati del «Bollettino» ministeriale, aggiornato al 31 dicembre 2015 (l’intero documento è visibile sul sito www.ilgiornaledellarte.com; informazioni sono presenti anche sul sito del Ministero).
Le ricerche di petrolio e in particolare di idrocarburi, composti organici di origine fossile presenti negli strati geologici, sono in netto aumento: oggi in Italia le concessioni sono 326 e si scava anche nei pressi di luoghi paesaggisticamente delicati come Pantelleria, le isole Tremiti e la Sicilia, dove ampia è la biodiversità marina.
Nel dettaglio, si tratta di 90 concessioni sulla terraferma per ricerche e sfruttamento del sottosuolo e 24 nei fondali marini, a cui si aggiungono altre 143 in terra e 69 in mare per le «coltivazioni» di idrocarburi già individuati con scavi preventivi (vanno realizzati pozzi di trivellazione anche per la ricerca).
Praticamente ogni regione italiana vede attivate concessioni: per quanto riguarda i permessi di ricerca degli idrocarburi, il record si ha in Emilia Romagna (proprio la regione del ministro Guidi), con ben 31 siti presenti per un totale di oltre 6mila chilometri quadrati di territorio; al secondo posto c’è la Lombardia con 15 siti per quasi 4mila chilometri quadrati.
Al terzo c’è l’Abruzzo, con 11 permessi e 2.200 chilometri quadrati di superficie interessata, ma il «Texas» d’Italia per quanto riguarda le trivellazioni è in Basilicata, visto che a Viggiano (Pt) nella Val d’Agri ha sede il Centro Olio dell’Eni con 27 pozzi presenti. In questa regione, tra le meno popolose d’Italia, secondo dati del 2014 dell’Unione Petrolifera si raccoglie il 69% del greggio e il 16% del gas estratti nella Penisola.
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