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Elena Gigli
Leggi i suoi articoliSono Elena Gigli, l’«aiutante di Maurizio Fagiolo» che secondo il professor Fabio Benzi, alla morte di quest’ultimo nel 2002, avendo copia del suo archivio, ne continuò l’attività «prima in sordina, poi in maniera sempre più pervasiva». Preciso che il mio archivio, già iniziato al tempo della tesi, quando frequentavo regolarmente Casa Balla, fu duplicato dopo la laurea per poter lavorare in parallelo con il professor Fagiolo su una ricognizione totale in vista di un Catalogo ragionato. La copia in uso al professor Fagiolo esiste ancora e al momento della sua morte non conteneva più di mille schede. Da allora ho continuato il lavoro da sola e assiduamente (se così intende Benzi col termine «pervasivo») fino a raccogliere e compilare quasi 3mila schede. Non sono mai stata condizionata dalla famiglia Balla, che non è titolare dei diritti morali e nulla può esigere dai curatori su quel piano. Stando a Benzi, la mia azione sarebbe diventata «pervasiva» quando lui e il professor Crispolti rinunciarono all’incarico di curare il Catalogo per i troppi limiti che la famiglia voleva imporre alla loro autonomia scientifica. Che io sappia, i reali motivi di disaccordo, anche tra Benzi e Crispolti, di cui ho traccia nel mio archivio, furono altri e di altra natura.
Quanto a me, desiderando avere completa libertà, controllo da sola il mio Archivio, che tengo presso di me, e non mi appoggio a gallerie né ad altri enti. Per una questione di diritti, che renderebbero antieconomica la pubblicazione, l’uscita del Catalogo è prevista per gennaio 2029, non appena scadranno legalmente i 70 anni dalla morte di Balla, mancato nel 1958. Ciò che Benzi non dice è che, alcuni anni fa, Fabrizio Russo, titolare dell’omonima galleria, durante un pranzo a cui mi aveva invitata, mi propose di cooptarlo come collaboratore e coautore del Catalogo. Io rifiutai soltanto per poter mantenere la mia autonomia di giudizio nei confronti di uno studioso per il quale ho il massimo rispetto, ma che non è mai stato lontano dal mercato e dai suoi interessi, fin da quando era assiduo collaboratore e pressoché socio della Galleria Arco Farnese di Lucia Stefanelli Torossi, poi come consigliere e principale fornitore della stilista Laura Biagiotti, e infine come nume tutelare della Galleria Russo.
Prima di commentare altri piccoli errori e imprecisioni negli articoli e nelle didascalie, vorrei dire che desidero essere giudicata a lavoro finito. Credo di averne il diritto, così come credo di dover invitare tutti a non fare affermazioni e accuse generiche, di cui sono ricchi molti contributi a questa inchiesta, perché i problemi posti dalla catalogazione di Balla, non pochi dei quali creati dall’artista stesso e dalle figlie, ambedue pittrici, sono tanti e complessi, e richiedono continui aggiustamenti e revisioni, talvolta anche correzioni parziali o integrali di precedenti giudizi, sia miei che di molti altri. Per i miei giudizi, mi sono sempre basata sullo studio stilistico e storico, e da molti anni anche su indagini diagnostiche in continuo confronto con laboratori di restauro e di analisi di fama internazionale. Lo sforzo maggiore lo sto ora dedicando a definire coerenti nuclei tematici e cronologici nella produzione di Balla dopo il 1918 e penso che il risultato potrà essere importante per una migliore comprensione di un artista così grande e innovativo. Se riscontro imprecisioni o errori, di qualunque tipo, li correggo e avviso le persone interessate.
Ho il dovere di affermare che l’insistenza di Benzi e di altri protagonisti dell’inchiesta sulle provenienze definite «incerte» non è realistica, e soprattutto è ingannevole per il lettore, portato a credere che l’incertezza di una provenienza sia sinonimo di falsità. Chiunque operi in questo settore, sia come storico sia come mercante, è ben al corrente della realtà dei fatti. Tutti sanno che il mercato italiano, a partire dal secondo dopoguerra, è stato caratterizzato da una forte opacità, per l’abitudine di pagare in nero, di pagare in contanti, di pagare su conti esteri ecc. Gli autori degli articoli e i mercanti intervistati fingono di ignorare che ciò non solo non agevola, ma spesso impedisce del tutto la ricostruzione della provenienza delle opere e dei loro passaggi di proprietà. Quello di Balla è infatti un mercato interamente concentrato nel secondo dopoguerra, periodo in cui, dopo la mostra del 1963 a Torino, cominciano a scomparire dai cataloghi persino i nomi dei collezionisti. Spiego quindi, nel modo più sintetico e rapido, una cosa che tutti sanno ma non dicono.
La «sfortuna» di Balla futurista
Aderendo al Futurismo, Balla perse quasi tutta la sua clientela e la recuperò solo in parte dopo il 1926-30 tornando gradualmente alla pittura figurativa. Le opere futuriste, come documentano le foto d’epoca, si accavallavano nella grande casa studio al confine del parco di Villa Borghese, e i mezzi di sostentamento venivano quasi solo da opere d’arte applicata e decorativa. Tranne qualche raro quadro regalato ad amici futuristi o venduto a collezionisti eccentrici, tutto rimase in casa, tanto che non poche tele o altri supporti finirono per essere riutilizzati da lui stesso o dalle figlie. Delle rarissime cessioni di quegli anni rimane poca traccia nelle memorie di Elica (Con Balla, 3 voll., 1984-86, scritti in base ad appunti molti anni dopo la morte del padre). Nata nel 1914, Elica ha qualche ricordo diretto solo dal 1926-30 e ciò che racconta degli anni precedenti lo desume da memorie familiari. A puro titolo di esempio, faccio presente che il suo primo ricordo diretto è che nel giugno del ’26, durante il trasloco da via Porpora al Villino Ambron, Balla dovette distruggere molti complessi plastici e altre opere ingombranti, e «molte» le diede in pagamento al trasportatore Romolo Carlini. E va ricordato che nel giugno del 1929 vi fu un altro trasloco per la definitiva sistemazione della famiglia nel piccolo appartamento di via Oslavia. Elica nelle sue memorie incomincia a registrare con più regolarità le vendite più importanti a partire dall’immediato dopoguerra, quando la richiesta di opere futuriste si fece più pressante, ma le riferisce in modo parziale e lacunoso: solo la metà delle opere acquistate da Carlo Grassi, nessuna o quasi delle numerosissime opere acquistate da Slifka o da altri collezionisti stranieri, nessuna di quelle date in vendita a più riprese a Benedetta Marinetti per collezionisti del Nord, nessun elenco dei quadri comprati da Guido le Noci, da Peppino Palazzoli, da Carlo Cardazzo e da tanti altri mercanti. Ci si è mai domandati quante opere furono cedute o disperse nei due traslochi? E quante potevano essere già state vendute senza prenderne nota dalla liberazione di Roma nel 1944 alla morte dell’artista nel marzo 1958?
Nel 1961 Luce compilò un elenco delle opere che si trovavano ancora in casa, e via via dei loro acquirenti, trascritto in una prima agenda ritrovata di recente e che nessuno ha finora potuto consultare: un elenco di opere e nomi che tuttavia dovrebbe corrispondere a quello che figura nel 1962 nel secondo volume degli Archivi del Futurismo. Fino ad ora, oltre agli Archivi, ha fatto testo la seconda agenda di Luce, redatta nel 1972, che dovrebbe essere copia della prima, ma con molte aggiunte e varianti. In questo mese di ottobre sarà perfezionata la vendita di Casa Balla allo Stato e si spera che sia quanto prima consentito in modo imparziale agli studiosi di fare tutti i controlli necessari. Concludo: tutte le opere autentiche vengono da Casa Balla, ma solo di quelle vendute a partire dal 1961 siamo in grado di avere un parziale riscontro e i nomi degli acquirenti. Di quelle, sicuramente numerose, cedute nei 17 anni che vanno dal giugno 1944 al 1961 sappiamo pochissimo, così come di tutto quello che è stato venduto, scambiato o disperso durante i traslochi del 1926-1929. In mancanza di notizie attendibili o plausibili, è quindi più onesto dire che ignoriamo i nomi dei primi proprietari, oppure fidarsi entro certi limiti delle indicazioni che sembrano più sicure. Nonostante questo, e voglio sottolinearlo con forza, esistono tanti altri mezzi per sapere se un’opera era in casa, se Elica l’aveva vista o la ricordava, e infine per verificarne autenticità e data. In sostanza, è sempre l’opera che parla, più che la provenienza. Non mi sembra corretto, in un’inchiesta seria e su un problema reale, fare affermazioni tanto devianti. Restiamo coi piedi per terra. Per lo stesso motivo non intendo entrare nel tema di altre affermazioni generiche. Ci sarà sicuramente un momento in cui tutto uscirà dal «si dice», «mi sembra» e così via, e si vedrà cosa c’è di concreto, di vero e di dimostrabile. Stiamo tranquilli e fiduciosi: la verità viene sempre a galla, è solo questione di tempo e di circostanze.
Precisazioni
In prima pagina, col titolo sovrimpresso FALSI FUTURISTI, figura un particolare di «Vortice di giardino» (1926-30) di Giacomo Balla, di proprietà della Galleria Russo, giustamente definito «opera indiscussa»: nella pubblicazione di Benzi (catalogo Galleria Russo, 2021, p. 134) è riportata gran parte della mia autentica rilasciata il 22 febbraio 2010. A pagina 18 (intervista di Guglielmo Gigliotti a Fabrizio Russo), è pubblicato un dipinto di Balla del 1919, «Linee forza di mare», indicato come «già collezione Laura Tansini, foto archiviata presso l’Archivio Giacomo Balla a cura di Elena Gigli». Il nome corretto del mio archivio è Archivio Gigli per l’opera di Giacomo Balla; il quadro riprodotto non è quello di Laura Tansini (Casa Balla n. 673; olio su tavola, cm. 17x31), ma un olio su tela di cm. 36x181, proprietà della Galleria Russo (Casa Balla n. 529), pubblicato a pp. 94-95 del catalogo sopra citato del 2021, a cura di Fabio Benzi, con una mia scheda tecnica. A pagina 20 è riprodotto un paravento, esposto a Milano da Artcurial nel novembre 2018, con la seguente didascalia: «...un falso paravento attribuito a Giacomo Balla (ispirato a un paravento originale conservato al Kröller-Müller Museum di Otterlo [...], autenticato da Elena Gigli nel 2018 come proveniente da Casa Balla e notificato a Torino dalla locale Soprintendenza), previsto in asta da Artcurial […] con una valutazione di 400-600mila euro ma ritirato prima dell’asta. Nel frattempo, ulteriori indagini stilistiche (compresa la consulenza di Giovanni Lista) e analisi tecniche avevano permesso di riconoscerne la falsità». In realtà, il paravento mi fu indicato come proveniente da Casa Balla, lo autenticai il 10 febbraio 2018 datandolo 1916-17; il 30 marzo un report analitico (UV+IR) dello studio Alessandro Pavia confermò la congruità dei materiali «con la seconda metà degli anni Dieci del secolo scorso», e il 18 luglio Giovanni Lista ne ribadì l’autenticità e la data 1917 affermando con un denso scritto che esso era il gemello di quello acquistato dal Museo di Otterlo. Fu Paolo Baldacci a ribaltare tutto e a farlo ritirare dall’asta affermando con assoluta sicurezza, con lettere email inviate ad Artcurial, a Lista, a me e ad Umberto Allemandi, che si trattava di un falso, forse prodotto in casa, ma dopo la morte dell’artista. In seguito ad analisi diagnostiche più accurate che individuarono la presenza di bianco di titanio, Lista spostò la data del manufatto agli anni ’30, io lo datai 1930 circa, poi il pezzo fu notificato dalla Soprintendenza di Torino. Le analisi non specificavano se il titanio fosse rutilo (posteriore al 1940-45) o anatasio (in Belle Arti dal 1922-25). Oggi, visto l’uso accertato di idropittura a base di titanio, tipica degli anni ’50, penso sia una replica casalinga, comunque posteriore alla scomparsa di Balla, forse modello per un multiplo poi non realizzato. L’opera non sarà inclusa nel Catalogo ragionato.
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