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Una veduta della retrospettiva di Leonardo in corso al Louvre fino al 24 febbraio. © Musée du Louvre | Antoine Mongodin

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Una veduta della retrospettiva di Leonardo in corso al Louvre fino al 24 febbraio. © Musée du Louvre | Antoine Mongodin

Imperdibile Leonardo in compagnia di Carmen Bambach

La retrospettiva al Louvre è unica e ha una freschezza e una coerenza in grado di incontrare il gradimento sia del pubblico sia degli studiosi

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Redazione GDA

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Parigi. Le celebrazioni di artisti del passato di rado hanno acquistato una dimensione politica come nel caso di Leonardo da Vinci (1452-1519). Si può ricordare come nel secolo scorso l’eredità di questo genio universale del Rinascimento sia stata strumentalizzata per un nefasto secondo fine nazionalistico. Dal 9 maggio al 20 ottobre 1939, una gigantesca mostra su Leonardo, organizzata su ordine di Benito Mussolini al Palazzo dell’Arte di Milano, commemorò il 17mo anniversario della fondazione del regime fascista in Italia. Fortunatamente ci troviamo in una fase politica diversa nella nostra percezione di Leonardo.

Il 2 maggio 2019, in occasione del 500mo anniversario della sua morte ad Amboise, i presidenti della Repubblica italiano e francese, Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron, sono apparsi insieme a deporre fiori sulla «tomba moderna» di Leonardo nella Cappella di Saint-Hubert all’interno del complesso del Castello Reale di Amboise. Le trattative geopolitiche relative al prestito di dipinti e disegni per l’ambiziosa mostra del Louvre, evento culminante dell’anno di Leonardo 2019, hanno avuto a tratti la loro parte di sceneggiata nazionalistica.

Qualsiasi mostra seria su Leonardo che si avvalga di prestiti internazionali comporta delle sfide erculee, come minimo per la varietà e la complessità dell’opera del maestro, le enormi quantità di letteratura critica da assimilare e i problemi pratici nell’assicurarsi i prestiti più rari, che permettano di rappresentare gli elementi più significativi della sua opera. Con 163 opere (disegni, dipinti, sculture e medaglie), la retrospettiva in corso fino al 24 febbraio al Louvre è un evento irripetibile.

È una mostra bella, ricercata e selezionata con cura. Riesce a raccontare la storia della visione artistica di Leonardo, soprattutto come pittore, con una freschezza d’intuizione e una coerenza intellettuale che dovrebbe incontrare il gradimento sia del grande pubblico che degli studiosi. L’accento è posto sulla «scienza della pittura» di Leonardo, per citare le parole dei curatori Vincent Delieuvin e Louis Frank. Come è ben noto, Leonardo sfugge alla categorizzazione.

I prestiti collegano i quattro dipinti di Leonardo della collezione permanente del Louvre che sono inclusi nella mostra: la «Vergine delle Rocce» del 1483-88; il ritratto soprannominato «La Belle Ferronnière», 1495 ca; il «San Giovanni Battista», iniziato intorno al 1504-06, e la «Vergine e Bambino con sant’Anna», iniziato intorno al 1507-08. Quest’ultimo è splendidamente esposto con il cartone della «Vergine e Bambino con sant’Anna» della National Gallery di Londra.

I prestiti di dipinti autografi di Leonardo sono la «Madonna Benois» dell’Ermitage (San Pietroburgo), l’incompiuto «San Girolamo» (1480 ca) dai Musei Vaticani, «Il Musicista» della Pinacoteca Ambrosiana (Milano) e la «Scapigliata» della Galleria Nazionale di Parma. Nell’opera superstite di Leonardo, il rapporto tra dipinti sicuramente autografi e fogli con disegni e manoscritti è di circa 15 a 4.100.

La maggior parte delle opere di Leonardo alla mostra del Louvre, quindi, è costituita da disegni e manoscritti, con un numero particolarmente generoso di prestiti dalla Royal Collection di Windsor. Il Louvre stesso possiede circa 30 disegni di Leonardo. L’allestimento delle opere in mostra trasmette dalla prima all’ultima il senso della potente personalità artistica di Leonardo e con un’immediatezza che lascia a bocca aperta.

Le opere sono ben distribuite in 13 sale e ambienti nelle gallerie espositive e i curatori e l’architetto che ha ideato l’allestimento hanno reso migliore l’esperienza estetica creando visioni d’insieme che collegano le sezioni da una stanza all’altra. I dipinti e i disegni spiccano con teatrale eleganza sulle pareti dipinte in tonalità di grigio scuro e grigio chiaro.

Quattro grandi temi
Le opere sono raggruppate intorno a quattro grandi temi piuttosto «elastici» che mescolano concettualità e biografia, ma che non forniscono facilmente una chiave di lettura univoca per le opere in mostra. Il primo tema, «Ombra, Luce, Rilievo», ha lo scopo di descrivere le tre principali qualità stilistiche dell’arte fiorentina del tardo Quattrocento, che improntò particolarmente la formazione di Leonardo e di altri artisti nella bottega del maestro Andrea del Verocchio.

La mostra si apre maestosamente con il monumentale bronzo di Verrocchio «Il dubbio di Tommaso», prestito eccezionale del Museo Nazionale del Bargello (Firenze), posto al centro di un’edicola semicircolare sulle cui pareti è appesa la bella serie di studi di panneggio su lino; sono per lo più di Leonardo, ma tali attribuzioni hanno fatto versare molto inchiostro. I curatori approfondiscono poi in modo convincente l’impatto della pittura e della scultura del Quattrocento sul giovane Leonardo, al di là della sua formazione e delle collaborazioni con Verrocchio e, a tal fine, hanno arricchito le esposizioni con opere provenienti dalle incomparabili raccolte di disegni, dipinti e sculture appartenenti al Louvre.

Il secondo tema, «Liberté» (geniale interpretazione francese dell’argomento), è inteso in senso letterale e concettuale. Copre i progetti realizzati da Leonardo dal momento in cui si emancipa da Verrocchio e rappresenta anche più astrattamente la sconcertante libertà creativa evidente negli schizzi di Leonardo su carta per le prime composizioni (come quelle per la «Madonna del Gatto» e l’«Adorazione dei Magi» degli Uffizi), così come nel dipinto incompiuto di «San Girolamo» (proveniente dal Vaticano). Per la prima volta in tempi recenti, i primi disegni del periodo fiorentino di Leonardo conservati al Musée Bonnat-Helleu (Bayonne) vengono esposti in una mostra di prestiti internazionali al di fuori della loro istituzione originaria (che è in ristrutturazione) e di norma inaccessibili a causa della politica del «non prestare» imposta dal lascito di Léon Bonnat.

Il più famoso disegno di Bayonne raffigura schizzi dell’impiccagione di Bernardo Baroncelli (a seguito della Congiura dei Pazzi), con note sul suo abito. Un momento superbo della mostra è rappresentato dalla lunga sala in cui la «Vergine delle Rocce» del Louvre e il «San Girolamo» del Vaticano sono appesi sulle pareti di fondo, a sottolineare il breve lasso di tempo intercorso tra la loro elaborazione, affiancatati dai disegni preparatori su una delle pareti lunghe. Sulla parete lunga opposta, l’affascinante giustapposizione del «Ritratto di un uomo» di Antonello da Messina (1475 ca) dal Louvre con la cosiddetta «Belle Ferronnière» di Leonardo (1495 ca) e «Il Musicista» dell’Ambrosiana (1486-88 ca), suggerisce la possibilità dell’influenza di Antonello sulla ritrattistica di Leonardo.

Una grande sala è dedicata alla «Scienza», terzo tema della mostra, e riunisce i disegni e i manoscritti di Leonardo relativi a materie scientifiche, tra cui anatomia, geometria, architettura, meccanica e macchine volanti, nonché la teoria della pittura. Tutti i 14 manoscritti del maestro della Biblioteca dell’Institut de France (Parigi) sono esposti per la prima volta dal 2003. La sala comprende anche il «Codice sul volo degli uccelli» dalla Biblioteca Reale (Torino), due fogli del «Codice Leicester» della Collezione di Bill e Melinda Gates e il famoso «Uomo Vitruviano» della Galleria dell’Accademia (Venezia).

Il quarto tema della rassegna, «Vita», ancora una volta inteso astrattamente, allude a quello che, nella sua maturità, ha fatto sì che Leonardo elevasse la pittura a «scienza divina», basata sui suoi studi naturalistici e scientifici. Esso comprende le opere prodotte durante il periodo del ritorno del maestro a Firenze intorno al 1500, i suoi tre anni a Roma e gli ultimi anni in Francia. Mentre la qualità fortemente concettuale dei quattro temi su cui si articola l’esposizione è probabilmente fonte di confusione per il visitatore che gira per la mostra (poiché i testi dei pannelli non sono abbastanza descrittivi), i fili narrativi di questi temi e dei relativi sotto-temi sono unificati in modo più raffinato nel catalogo di accompagnamento (che però è solo in francese).

Le immagini a infrarossi danno un vivido senso del lavoro creativo messo in atto. Una vasta campagna di ricerca scientifica sui dipinti di Leonardo ha accompagnato la progettazione della mostra del Louvre e un aspetto innovativo e istruttivo della mostra è rappresentato dalla coraggiosa decisione dei curatori di integrare l’imaging con riflettografia a infrarossi (Irr) dei dipinti di Leonardo, che rivelano i disegni sottostanti e altri primi stadi di elaborazione sotto la superficie pittorica. Le immagini Irr sono ripresentate retroilluminate su schermi di vetro sulle pareti e sono distribuite in modo discreto in tutta la mostra.

Queste immagini scientifiche servono a ricordare allo spettatore i dipinti di Leonardo non presenti in mostra, comunicando allo stesso tempo un vivido senso del lavoro creativo di Leonardo in atto e dell’evolversi del suo pensiero nei lunghi periodi di tempo impiegati per dipingere i suoi quadri. L’immagine in Irr della «Gioconda», dipinto (non in mostra) iniziato intorno al 1503, può essere paragonata al cartone danneggiato di Leonardo di Isabella d’Este, di circa due anni precedente, che è un disegno sperimentale. La scala dei corpi delle modelle femminili non sono solo simili, ma anche i problemi evidenti nella posa di Isabella (in particolare con il braccio destro e la mano grossolanamente accorciati) appaiono risolti con eleganza nella posa della «Gioconda».

L’Irr della «Gioconda» rivela anche una trasformazione delle proporzioni del suo corpo snello (più vicino a un ideale quattrocentesco) in una forma monumentale: il maestro le «ha allargato» il mantello. L’inclusione di opere di artisti della cerchia di Leonardo mette in risalto la continuità delle pratiche. Per esempio, l’attività di collaborazione si svolse sia all’inizio della carriera di Leonardo sia nella maturità e questo, potremmo dire, era in parte un’eredità del suo apprendistato presso il Verrocchio. Le recenti mostre su Verrocchio a Palazzo Strozzi e al Bargello di Firenze e alla National Gallery of Art di Washington hanno contribuito a mettere in luce il clima di collaborazione creativa che esisteva nell’assai dinamica bottega del Verrocchio.

A Milano, in particolare negli anni ’90 del Quattrocento, Leonardo educò degli artisti a emulare il suo stile (da qui il loro soprannome di Leonardeschi) e alcuni di essi raggiunsero un alto grado di perizia tecnica pur essendo miseramente sprovvisti dell’immaginazione e delle capacità inventive del maestro. Replicarono le trovate figurative di Leonardo e gli artifici del chiaroscuro e dello sfumato, collaborando anche con lui a dipinti meno importanti: tra le varie realtà della pratica leonardesca, forse questa è quella che si fa più fatica ad assimilare. Nella mostra, una parete con sette dipinti di ritratti e figure a mezzo busto permette allo spettatore specializzato di riconoscere in modo abbastanza chiaro, probabilmente per la prima volta e al di là di ciò che viene discusso nel catalogo, le differenze fondamentali di stile e tecnica dei due pittori più importanti formati da Leonardo: Giovanni Antonio Boltraffio e Marco da Oggiono.

La tavolozza sensualmente elaborata e pittoricamente ricca di Boltraffio contrasta con l’applicazione dei pigmenti molto sottili e simili allo smalto di Marco, le forme meticolosamente disegnate e le tonalità grigioverdi degli incarnati. Un po’ aggressivamente incombente sugli oggetti esposti nella grande sala della «Scienza» e dei manoscritti è l’enorme copia dell’«Ultima Cena» leonardesca dipinta da Marco d’Oggiono (proveniente da Ecouen), ma ad attenuarne l’effetto visivo, su una parete vicina, c’è la serie di copie a pastello delle teste degli apostoli e di Cristo dall’«Ultima Cena» eseguite da Boltraffio (dai Musei di Strasburgo). Ogni mostra su Leonardo è probabilmente destinata a sollevare questioni di attribuzione, in particolare per quanto riguarda i dipinti di piccola dimensione successivi al 1500.

Come sappiamo, fra Pietro da Novellara il 3 aprile 1501 scrisse a Isabella d’Este, lamentandosi che Leonardo «non ha fatto nient’altro per il fatto che due apprendisti stanno eseguendo copie e, di tanto in tanto, mette mano al loro lavoro». Esposte in mostra fianco a fianco (era dal 1992 che non le si vedeva insieme), sono le due versioni migliori della stessa composizione della «Madonna dei fusi», rispettivamente da una collezione privata europea non specificata e dalla Collezione del duca di Buccleuch e Queensberry (Castello di Drumlanrig).

Provengono chiaramente dalla bottega di Leonardo, ma sono state dipinte da due artisti diversi e, forse, ritoccate dal grande maestro. Al contrario, la nuova immagine in Irr della «Scapigliata» (Parma), eseguita dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha rivelato uno squisito disegno sottostante, che dimostra definitivamente come questo piccolo dipinto su legno di pioppo (eseguito con l’intenzione di sembrare incompiuto) sia un’opera autografa di Leonardo. Ha tutte le caratteristiche del suo stile di disegno su carta, modellazione superbamente sottile e contorni che respirano con vivaci inflessioni tonali.


Carmen Bambach curatrice del Dipartimento di Disegni e Stampe del Metropolitan Museum of Art, New York

Redazione GDA, 14 gennaio 2020 | © Riproduzione riservata

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