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Da sinistra, Eliana Calandra, direttrice della Biblioteca Comunale di Palermo, e il sindaco Leoluca Orlando con il Codice Resta

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Da sinistra, Eliana Calandra, direttrice della Biblioteca Comunale di Palermo, e il sindaco Leoluca Orlando con il Codice Resta

Il prezioso Codice Resta è stato restaurato a Roma

Vent’anni fa 
l’inattesa scoperta, oggi l’atteso ritorno

Giusi Diana

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Dopo 20 anni il Libro d’Arabeschi di padre Sebastiano Resta (Milano, 1635-Roma, 1714), o Codice Resta, è tornato nel fondo Manoscritti e Rari della Biblioteca Comunale di Palermo di Casa Professa, dove venne casualmente rinvenuto alla fine degli anni ’90 dall’allora direttore Salvatore Pedona e da Vincenzo Abate, direttore di Palazzo Abatellis. Si è infatti concluso il lungo periodo di studio e di restauro svoltosi presso l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

Nel Laboratorio di restauro opere d’arte su carta diretto da Fabio Fiorani il Codice è stato sottoposto ad analisi diagnostiche preliminari, documentazione grafica e fotografica e interventi conservativi che hanno riguardato la legatura, la coperta in marocchino rosso e tutte le 242 pagine su cui sono incollati ben 292 disegni e 15 stampe inedite degli allievi di Raffaello Giulio Romano e Perin del Vaga, e di artisti come Francesco Salviati, Federico Zuccari, Jacopo Barozzi detto Il Vignola e Pietro da Cortona, solo per citare i più noti.

L’intento del Resta, il più noto collezionista di disegni del XVII secolo in Italia, era quello di ricostruire la storia dell’arte italiana attraverso il disegno, per questo organizzava le sue raccolte in volumi rilegati che riportavano i suoi commenti e le sue classificazioni. In totale si tratterebbe di più di 30 volumi organizzati per argomenti e scuole, in larga parte smembrati i cui fogli si trovano nelle principali raccolte di grafica del mondo. Se ne conservano soltanto cinque integri: oltre a quello della Biblioteca Comunale di Palermo, due sono al British Museum di Londra, un piccolo taccuino di disegni di Ambrogio Figino è al Metropolitan Museum di New York e la celebre Galleria portatile si trova alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.

Il Codice di Palermo rappresenta dunque un documento di eccezionale importanza, oltre che per l’evoluzione del decoro in Italia dalla fine del Quattrocento a tutto il Seicento, anche per la storia del collezionismo. Intorno al 1690 Padre Resta da Roma inviò ilLibro d’Arabeschi all’amico padre Giuseppe del Voglia, oratoriano della Congregazione palermitana dell’Olivella, anche lui collezionista di disegni, in particolare di architetture e decorazioni.

Al Codice di Palermo manca la pagina di titolazione comune agli altri volumi e i primi due disegni sono incollati sull’interno della legatura, fatto inusuale che fa pensare che la prima parte si fosse deteriorata. È composto da disegni dell’antico, frutto degli studi di prototipi classici, disegni di grottesche, che rappresentano un documento fondamentale per ricostruire lo sviluppo della decorazione nei cantieri romani dal 1540 al 1590, 32 disegni per oreficerie, disegni per ornato architettonico (tra cui studi di fregi), disegni di trofei e, alla fine del volume, vedute di Roma e paesaggi, quest’ultimo il nucleo di maggiore interesse con 19 disegni preparatori di una serie di stampe di Etienne Du Pérac.

Nel 2007 e nel 2008 una selezione dei disegni del Codice è stata esposta a Palermo e a Roma nella mostra curata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Fabio Fiorani, accompagnata da un catalogo Silvana Editoriale con importanti saggi critici e la riproduzione completa di tutti i disegni.

Da sinistra, Eliana Calandra, direttrice della Biblioteca Comunale di Palermo, e il sindaco Leoluca Orlando con il Codice Resta

Giusi Diana, 31 luglio 2019 | © Riproduzione riservata

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