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Lo stand di Gagosian ad Art Basel 2025, con «No» di Maurizio Cattelan (2021) e «Senza titolo» di Rudolf Stingel (2012).

Opera, fronte-retro: © Maurizio Cattelan, © Rudolf Stingel. Foto: Owen Conway

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Lo stand di Gagosian ad Art Basel 2025, con «No» di Maurizio Cattelan (2021) e «Senza titolo» di Rudolf Stingel (2012).

Opera, fronte-retro: © Maurizio Cattelan, © Rudolf Stingel. Foto: Owen Conway

Il piccolo Hitler con un sacchetto in testa è stato venduto per 2,5 milioni di dollari

In fiera ha fatto capolino il «No» di Maurizio Cattelan. Esposta allo stand di Gagosian e «venduta subito», come affermano dalla galleria stessa, per $ 2,5 milioni, è una delle opere simbolo di Art Basel 2025

Nicoletta Biglietti

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A quattro anni dalla sua prima apparizione, «No» torna a far parlare di sé. E lo fa nel luogo per eccellenza del sistema: Art Basel, a Basilea. L’opera di Maurizio Cattelan, già esposta in passato e al centro di numerose discussioni critiche sin dalla sua realizzazione nel 2021, viene riproposta nello stand di Gagosian al prezzo di 2,5 milioni di dollari (e viene subito venduta). Ma questa volta non per la novità, bensì per la sua forza muta e persistente. Perché «No» è un’opera che non smette di interrogare. Chi la osserva per la prima volta potrebbe cogliere solo un’eco inquietante: un bambino inginocchiato, le mani giunte, il volto completamente coperto da un sacchetto di carta. Un’immagine che potrebbe apparire sì inusuale ma non così disturbante, se non fosse che dietro quel gesto, dietro quell’occultamento, si cela un’eredità visiva ben più perturbante. «No» è infatti la rielaborazione concettuale di una delle opere più controverse di Cattelan, «Him» (2001), la scultura in cui Adolf Hitler veniva rappresentato in preghiera, con il corpo di un fanciullo e il volto riconoscibile solo frontalmente. Quel lavoro aveva scatenato uno tsunami di reazioni fin dalla sua prima apparizione, culminando nella clamorosa esposizione nel Ghetto di Varsavia nel 2012. Lì, a pochi metri dal luogo simbolo dello sterminio ebraico, l’artista aveva collocato la sua figura inginocchiata. Lo scandalo era inevitabile: arte provocatoria o atto sacrilego? La risposta, come spesso accade con Cattelan, era e resta una tensione aperta. Ma con «No», l'artista fa un passo ulteriore. O forse un «passo indietro». Toglie, invece di aggiungere. Elimina il volto, il riconoscimento, il trauma immediato. E lo sostituisce con qualcosa di apparentemente innocuo: un sacchetto di carta. Un gesto che nasce, inizialmente, da una richiesta di censura, ma che diventa immediatamente strategia artistica.


 

Lo stand di Gagosian ad Art Basel 2025, con "«No» di Maurizio Cattelan (2021) e «Senza titolo» di Rudolf Stingel (2012). Opera, fronte-retro: © Maurizio Cattelan, © Rudolf Stingel. Foto: Owen Conway

«Negli Stati Uniti, chi beve birra in pubblico deve coprire la bottiglia con un sacchetto. Ma tutti sanno cosa c’è dentro. Così ho pensato: perché non nascondere anche il volto di Hitler con un sacchetto?» dichiarava l’artista nel 2022 in un’intervista a Francesco Bonami. È la filosofia dell’occultamento come provocazione. Il sacchetto non nasconde: suggerisce. Non protegge: amplifica. Non censura: sottolinea. La figura inginocchiata resta, come in «Him». La resa materica – cera, resina poliestere e capelli umani – è la stessa. La postura è simile, ma ora lo sguardo dello spettatore si infrange su un muro opaco. Non si può più identificare il soggetto, e proprio per questo si è costretti a porsi domande ancora più complesse. Chi è? Che cosa rappresenta? E perché ci sentiamo comunque turbati? In questo senso «No» si libera del “grande nemico” per riflettere sull’atto stesso di guardare, di interpretare, di riconoscere il male. Se in «Him» lo shock era determinato dall'identificazione – quell’istante in cui si realizza che dietro l’apparente innocenza c’è Hitler – qui è l’ambiguità a generare spaesamento. Non sapere chi c’è dietro il sacchetto diventa più inquietante che riconoscere l’identità. Il male si fa invisibile, e per questo ancora più insinuante.

«No» non vuole scandalizzare. Non cerca il facile effetto. Cattelan non punta più sul cortocircuito visivo, ma su una sospensione più profonda. Lo spettatore si trova davanti a un’opera che rifiuta il confronto frontale, che nega il viso ma lascia intatto il peso della memoria. In questo gesto di rimozione si apre una nuova dimensione: non è il volto a generare il trauma, ma la sua assenza. È una riflessione potente sulla censura, ma anche sulla responsabilità come spettatori. Che cosa resta del male quando smette di avere un volto? Quando non possiamo più riconoscerlo? Quando ci viene tolta la possibilità di giudicarlo visivamente? In un’epoca in cui tutto è mostrato, esibito, condiviso, Cattelan sceglie l’ombra, il silenzio, l’enigma. E ci costringe a fare i conti non tanto con ciò che vediamo, ma con ciò che preferiremmo non vedere. Dal punto di vista concettuale, l’opera è una vera e propria trappola filosofica. In apparenza semplice, si apre invece su riflessioni vertiginose. La più evidente: il male può apparire innocente. Ma poi arriva la più disturbante: il bene e il male non sono sempre separabili. E qui Cattelan presenta il suo colpo da maestro. Perché anche se lo sappiamo, anche se la teoria ci dice che l’ambivalenza è parte dell’umano, non siamo pronti ad accettarlo se il simbolo è quello del male «assoluto». In questo modo, «No» smette di parlare di Hitler per parlare di noi. Della nostra incapacità di accettare l’ambiguità. Della nostra paura di riconoscerla prima di tutto dentro di noi. Il sacchetto non è solo un gesto ironico, né solo un riferimento alla cultura americana: è lo specchio scuro della nostra coscienza. Un invito – scomodo, urgente – a interrogarci sul confine tra giudizio e negazione, tra memoria e rimozione. In definitiva, Cattelan con «No» non costruisce una nuova icona. Fa qualcosa di ancora più radicale: la de-costruisce. La nasconde. La trasforma in assenza. E in questa assenza ci costringe a pensare, a immaginare, a temere. Perché ciò che non si vede può essere molto più potente di ciò che si mostra.


 

Nicoletta Biglietti, 22 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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Il piccolo Hitler con un sacchetto in testa è stato venduto per 2,5 milioni di dollari | Nicoletta Biglietti

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