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Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, fondatrice e presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Photo Ela Bialkowska-Okno studio

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Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, fondatrice e presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Photo Ela Bialkowska-Okno studio

Il mio viaggio annuale a Basilea, nel cuore pulsante dell’arte

Dal rito personale alla visione globale: tra fiere, musei, collezioni e incontri, per Patrizia Sandretto Re Rebaudengo la città si trasforma in una costellazione viva di arte, idee e relazioni

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

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Il mio tour ad Art Basel inizierà quest’anno con l’ascolto di una delle «Conversation» organizzate dalla fiera, l’incontro «Collecting for a purpose», dedicato alle strategie del collezionismo istituzionale e aziendale. È un argomento che mi preme perché riguarda da vicino la mia pratica collezionistica e interessa l’identità stessa della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che ho costituito trent’anni fa. Seguo con grande attenzione le conversazioni di Art Basel, nelle quali sono stata coinvolta diverse volte come relatrice ed esperta, tra le altre nel 2015, con un talk sui processi della committenza di opere, in dialogo con Benjamin Weil, direttore artistico del Centro Botín di Santander, e poi l’anno scorso, con l’artista Paulina Olowska. Insieme, abbiamo parlato della sua mostra personale aperta nella nostra sede di Torino a fine 2023 e abbiamo affrontato il tema cruciale della produzione, una delle forme con cui si esprime il mecenatismo contemporaneo. Riconosco in Art Basel il contesto ideale per le nuove acquisizioni, per un aggiornamento approfondito sulle dinamiche del mercato, trovando qui, allo stesso tempo, anche uno spazio di riflessione di alto livello. La fiera predispone al confronto tra una pluralità di modi di collezionare e io stessa sono stata fra i primi membri del Global Patrons Council di Art Basel, oggi composto da 181 tra i più importanti collezionisti privati a livello mondiale. 

Per chi come me considera l’arte come uno spazio di ricerca più che di investimento speculativo, Art Basel è il luogo dove mettere a fuoco direzioni, dove aprire varchi e prospettive e sporgersi sul futuro. Quest’anno, tra le sue nove sezioni, ho infatti molte aspettative su Premiere, il settore appena introdotto, focalizzato su ricerche artistiche recentissime, proposte da dieci gallerie, tra cui due new entry. Ogni sezione, da Galleries a Unlimited, da Feature a Statement, sono per me un terreno di esplorazione e per questo amo concedermi visite lente e sistematiche tra gli stand, prendermi il tempo per osservare con cura le opere, chiedere informazioni sugli artisti (e non solo sulle quotazioni), rincontrare galleristi amici e conoscerne di nuovi. 

Fuori dai padiglioni della Messe, c’è Basilea: una città intera che in quei giorni si sintonizza sui ritmi intensivi del mondo dell’arte, offrendo un programma serratissimo di opening, fiere alternative ed eventi. È la fiera stessa a indicare il passaggio dal dentro al fuori, attraverso il Parcours, la sezione che si estende lungo Clarastrasse, verso il Reno, con interventi site specific diffusi. Art Basel è anche il centro di una costellazione di iniziative «off» che trovano i propri spazi espositivi nei cortili, in fabbriche dismesse e in altre sedi inconsuete, dove l’arte può ritrovare una dimensione più calda e raccolta e spesso più radicale. Amo l’opportunità di passare dalla loro atmosfera informale e volutamente «rough» a quella dell’arte presentata nelle sale impeccabili dei musei e delle fondazioni. È dunque immancabile una visita alla Fondation Beyeler a Riehen, che quest’anno ospita la personale di Vija Celmins e, in città, l’ingresso al Kunstmuseum, tra i più antichi musei pubblici del mondo che, sotto la direzione di Elena Filipovic, ha saputo rinnovarsi a partire dalla propria straordinaria collezione storica, e un passaggio alla Kunsthalle, diretta da Mohamed Almusibli, dove a giugno avrò l’occasione di vedere le personali di Ser Serpas e Dala Nasser. Visito sempre anche il Museo Tinguely che durante la fiera apre i propri spazi alla scena contemporanea, quest’anno con la personale di Julian Charrière. Oltre ai musei, mi piace frequentare lo Schaulager, un ibrido tra museo, deposito e centro di ricerca, sede della Emmanuel Hoffmann Foundation. Qui, la presentazione delle opere costituisce un modello aggiornato sui temi della conservazione e dell’esposizione dell’arte contemporanea. Nei giorni della fiera si possono poi scoprire alcune incredibili collezioni private, come quelle di Ulla Dreyfus-Best e di Esther Grether, che accostano capolavori di arte moderna e contemporanea in spazi affascinanti.

Art Basel è, infine, un’occasione di socialità, un rituale collettivo che, sotto l’apparenza della pura mondanità, apre in realtà alla dimensione che intreccia formalità e amicizia, dove si consolidano collaborazioni e si valutano idee e possibili progettualità future. Tra i miei rituali: la colazione annuale della Delfina Foundation, la più grande residenza per artisti internazionali nel Regno Unito; il ricevimento Tate Basel, dedicato al Tate International Council, di cui faccio parte e la cena del martedì nella cornice stupenda della Fondation Beyeler.

Dalla prima edizione visitata nel 1992 a oggi, la fiera rappresenta senza alcun dubbio uno dei contesti a cui il mio percorso è più strettamente legato. Laboratorio e spazio di informazione, di ricerca e di scoperta, è qui che ho costruito e continuo a costruire la mia dotazione di conoscenze e le mie reti di relazioni.

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, 15 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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