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Jori Finkel
Leggi i suoi articoliDopo un lungo restauro eseguito presso i laboratori del Getty di Los Angeles, «Ercole e Onfale», un dipinto di recente attribuito ad Artemisia Gentileschi (1593-1653), sarà esposto nel museo californiano dal 10 giugno al 14 settembre. «A quanto mi risulti, non è mai stato esposto pubblicamente», afferma Davide Gasparotto, senior curator del Getty, che sta indagando sulla provenienza dell'opera.
«Per me è uno dei suoi capolavori, aggiunge la storica dell’arte Sheila Barker, del Medici Archive Project, che l’ha visto per la prima volta un anno fa nel laboratorio di restauro del Getty. È un incanto assoluto: potente, affascinante, divertente». Barker afferma di non avere «alcun dubbio» sull’attribuzione alla pittrice romana e di «non aver riscontrato prove dell’intervento della sua bottega».
Il dipinto era appeso alle pareti del Palazzo Sursock a Beirut, dimora della famiglia Sursock, senza l’indicazione di un autore. Dopo l’esplosione del 2020 nel porto della capitale libanese, che causò gravi danni anche al Palazzo e al patrimonio in essa contenuto, la tela ha attirato l’attenzione di studiosi come Barker, che lo aveva attribuito alla Gentileschi ancor prima di vederlo di persona. Roderick Sursock ha poi rinvenuto una ricevuta senza data, ma apparentemente di circa 100 anni fa, che documenta l’acquisto dell’opera da parte di suo nonno presso un mercante d’arte di Napoli. Il dipinto, secondo quanto indicato nella ricevuta sarebbe appartenuto alla famiglia del marchese Spinelli. Gasparotto ipotizza che in origine il dipinto sia stato commissionato da un altro ramo della famiglia, il che significherebbe che da sempre è rimasto di proprietà privata.
Il soggetto è tipico della Gentileschi, specialista nel rappresentare donne forti della Bibbia e della mitologia greco-romana. Cattura un momento del mito di Ercole e Onfale dopo che l’oracolo di Delfi ha condannato il potente eroe a diventare schiavo di Onfale, regina di Lidia, per aver commesso un omicidio. Nonostante la sua proverbiale forza fisica, nel dipinto Ercole appare vulnerabile sia fisicamente (è seduto seminudo, sovrastato da Onfale) sia emotivamente (Cupido, al suo fianco, gli sorride). L’inversione dei ruoli di genere continua con Onfale che indossa la pelle di leone di Ercole e impugna la sua clava, mentre Ercole stringe un fuso, associato all’arte più «femminile» della tessitura.
Barker ritiene che il dipinto, a grandezza naturale, risalga alla metà degli anni Trenta del Seicento o più tardi, dato lo stile e la composizione a più figure. «Non è qualcosa che un giovane artista in difficoltà avrebbe potuto permettersi di realizzare senza una commissione importante, sottolinea Barker. Direi che, data la sua complessità, risale al periodo di massima fama e successo commerciale della pittrice, quando riceveva commissioni da Filippo IV, re di Spagna».
Al suo arrivo al Getty il dipinto era in pessime condizioni. La tela presentava in più punti fori causati dai frammenti di vetro, simili a schegge, delle finestre del palazzo, andate in frantumi per l’onda d’urto dell’esplosione nel porto. C’erano significative perdite di colore, per esempio in una parte del naso di Ercole. Un grande strappo attraversava il ginocchio destro dell’eroe. Aiutato dai pentimenti della Gentileschi, il conservatore del Getty Ulrich Birkmaier ha lavorato per più di due anni sulla tela, coadiuvato nelle fasi iniziali dal restauratore romano Matteo Rossi Doria.
Con il naso di Ercole Birkmaier ha avuto fortuna. In un certo senso il suo ritocco è stato guidato, racconta il restauratore, dalla stessa Gentileschi. I raggi X hanno infatti rivelato un’altra versione del volto di Ercole di profilo, raffigurato a tre quarti, prima di girare leggermente la testa in modo che i suoi occhi incontrassero quelli di Onfale. Grazie alle informazioni ricavate dai pentimenti dell'artista Birkmaier è riuscito a completare la forma del naso. Il restauratore ha seguito l’esempio della Gentileschi Birkmaier anche per il piede della figura femminile che suona il tamburello in basso a sinistra, che, mal dipinto, si è rivelato essere una sovrapposizione di colore. Dopo aver rimosso alcuni colori idrosolubili, ha trovato più frammenti di pittura originale di quanto si aspettasse.
Per eseguire il ritocco ha consultato Federico Castelluccio, pittore realista e collezionista di dipinti antichi (nonché attore: è apparso nella fortunata serie «I Soprano»). Dopo aver ricevuto una fotografia del piede, Castelluccio ne ha dipinto una sua versione da mostrare a Birkmaier. Quando li abbiamo consultati, stavano ancora discutendo uno degli ultimi interventi rimasti: come completare l’alluce, a malapena leggibile.
Quanto al ginocchio lacerato di Ercole, Birkmaier ci fa notare come l’interruzione sia in parte ancora visibile, ma, osserva, questo è inevitabile, forse addirittura desiderabile: «È come camminare su una corda tesa. Non vogliamo spingerci troppo oltre con il restauro fino a creare qualcosa di nuovo. Questo dipinto ha attraversato un processo di invecchiamento durato centinaia di anni. Alcune cicatrici e piccole perdite non distraggono dall’esperienza complessiva di poter vedere il dipinto di nuovo molto, molto vicino a come Artemisia voleva che lo vedessimo quando lasciò il suo studio».
Il Getty esporrà il dipinto nell'ambito di una mostra a tema, «Le donne forti di Artemisia: il salvataggio di un capolavoro», insieme ad altre quattro tele dell’artista: «Lucrezia» (1627 ca) dal Getty, «Betsabea» (1636-37 ca) dal Columbus Museum of Art, una versione di «Susanna e i vecchioni» (1635 ca) dalla collezione del produttore televisivo Dick Wolf e un autoritratto proveniente da una collezione privata non identificata. In autunno «Ercole e Onfale» sarà esposto a Columbus, prima di tornare a Beirut una volta completata la ricostruzione del Palazzo Sursock.
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