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I consulenti d’arte e il piacere del collezionismo

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Redazione GDA

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Nel grande mondo che ormai parla solo inglese gli «art consultant» la fanno da padrone e impazzano, chiedendo opere per i loro clienti, sconti adeguati, commissioni per sè. Scrivono mail non si sa da dove, vengono nelle fiere in avanscoperta, chiedono opere-prezzi-informazioni in nome e per conto dei loro collezionisti. Chi siano questi clienti non lo sapremo mai, li tengono ben nascosti e ne hanno ben donde, altrimenti gli salteremmo addosso subito, scavalcandoli.

Ma i «clienti» chi sono? Che cosa vogliono? Che sogni hanno? In fondo il bello non è possedere un dipinto o una scultura, perché quando ce l’hai non la guardi quasi più. Lei se ne sta lì appesa al muro o a terra su un basamento, o magari nemmeno (Carl Andre), tu le passi davanti, la guardi distrattamente, ormai la conosci da tempo: non ha più segreti. Le emozioni che poteva darti le ha già manifestate. Insomma un quieto rapporto di antica amicizia.

Il bello dunque non è possedere, ma desiderare; il momento della massima tensione è quando ancora stai cercando. L’opera più bella è quella che speriamo di avere, il dipinto che non troviamo, che ci è appena sfuggito per un soffio, che costa più di quanto possiamo spendere, quello che non passa nemmeno dalle finestre, che il gallerista tiene a casa sua...

Ecco, i consulenti si frappongono fra l’oggetto del desiderio e il «consumatore finale» (mai definizione fu più ficcante di questa) e creano una zona neutra dove le passioni si acquietano, i desideri sfumano, le collezioni si assomigliano e garantiscono un «prodotto» algido, bello, sterilizzato, senza sbavature ma anche senza vita. Inserendosi surrettiziamente tra i due poli, i consulenti privano il collezionista del piacere di trattare un prezzo, discutere un contenuto, godere dell’attesa.

E poi chissà se sono più avveduti degli altri consulenti, quelli finanziari, che ci «consigliavano» Cirio, Parmalat, Maddoff poco prima dei rispettivi crack? Sì, non capisco proprio chi si «fa fare» una collezione che alla fine non gli assomiglierà e in fondo non gli piacerà nemmeno tanto.
Ammenoché una fortunata coincidenza non faccia esplodere i prezzi. In questo caso, le opere entrate in casa per caso, o per fortuna, sembreranno all’ignaro proprietario addirittura più belle.

Redazione GDA, 30 dicembre 2015 | © Riproduzione riservata

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