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Grazia Toderi per Luci d’artista

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Grazia Toderi per Luci d’artista

Guida alla Torino Art Week 2025

Un itinerario ragionato del Giornale dell’Arte tra le dieci mostre da non perdere più una menzione speciale

Scegliere nell’offerta dell’art week torinese che ruota attorno ad Artissima non è semplice. Bisognerebbe avere a disposizione giornate più lunghe di 24 ore ed energie fisiche, e mentali, da cyborg. Ma vedere tutto, se anche fosse possibile, forse si tradurrebbe in una forma di neutralizzazione della memoria, dell’esperienza. Il troppo è nulla, infatti. Così, tra mostre già inaugurate e altre che si preannunciano interessanti, ecco una piccola selezione, che forma anche una piccola mappa cittadina.

Federico Rizzo Courtesy Fondazione Giorgio Griffa

D1-D5. Giorgio Griffa e Simon Starling @Fondazione Giorgio Griffa

Nella Fondazione a lui dedicata, Giorgio Griffa, classe 1936, dialoga con l’artista britannico Simon Starling, trent’anni tra loro. È sicuramente una delle mostre più speciali, tra opere che si muovono come dittici a doppia firma e relative conversazioni accadute tra i due artisti. Spesso la relazione è empatica, come è stata la storia della loro amicizia. Un pennello al centro, quello che Starling acquista in Giappone in una bottega dove si producono le lacche urushi secondo una tradizione millenaria. Un pennello fatto con i capelli delle pescatrici giapponesi di perle ama, molto compatti per la lunga permanenza in mare e l’assenza di lavaggi con shampoo chimici. È lo strumento magico con cui i maestri delle lacche nipponiche conferiscono l’ultima patina, quella che rende la superficie uno specchio. Un rituale magico, una forma di pittura. Per questo, quando Starling conosce Griffa a una cena nel 2017, capisce che è lui il maestro a cui deve consegnare quel pennello, che non hai mai usato e tiene custodito come uno strumento prezioso, e un po’ misterioso. Così comincia. Ne nascono 3 carte che Griffa dipinge con i suoi codici, che sono segni e alfabeti immaginifici, dove plasma lettere, numeri e forme libere. Starling vi sovrappone una sua scrittura di lettere e parole, stampandola su un vetro e creando, così, una composizione a 4 mani. Sono Noise, Oblique 3 e Golden Ratio (quest’ultimo sarà presentato nella personale di Griffa che apre il prossimo 5 novembre alla galleria Casey Kaplan di New York). Nella mostra si incontrano anche l’opera più vecchia di Starling e quella più nuova di Griffa, invertendo il tempo su varie traiettorie. Poi, si trovano le opere che gli artisti si sono scambiati come doni e altre che hanno sentito di abbinare come dittici spontanei. C’è energia, purezza, verità e poesia, mai didascalica, mai gridata, come si addice ai grandi artisti.


Fondazione Giorgio Griffa
Via Oropa 28
 

Shiota Chiharu, Reflection of Space and Time (particolare), 2018, Commissionato da Alcantara S.p.A © Photo Sunhi Mang, Courtesy of Mori Art Museum, Tokyo

Chiharu Shiota e Declinazioni Contemporanee @MAO - Museo Arte Orientale

Andare al Mao regala sempre visioni diverse, fa scoprire mondi lontani nel tempo e nelle geografie, le collezioni storiche così come gli artisti contemporanei che passano per interventi e mostre. Da poco inaugurata, la grande mostra dell’artista giapponese Chiharu Shiota ha trasformato il museo in un luogo diverso, immersivo, che avvolge in una trama di filo lo spazio e il pubblico. È un’esperienza fatta a stanze, dove si racconta il percorso di questa artista che nel 2015 animò il padiglione giapponese alla 56° Biennale di Venezia con l’installazione The Key in the Hand, migliaia di chiavi raccolte in tutto il mondo, sospese in groviglio di fili rossi su due vecchie barche di legno. La mostra The soul trembles arriva a Torino dopo una decina di tappe internazionali, partita dal Mori Art Museum di Tokyo nel 2019 con la curatela della direttrice Mami Kataoka, in questa occasione in collaborazione anche con direttore del Mao Davide Quadrio. Insieme a Chiharu Shiota, sabato 1° novembre si inaugura la terza edizione di Declinazioni Contemporanee, programma di residenze e commissioni site-specific che invita artisti contemporanei a dialogare con la collezione e il museo in continua trasformazione. Nella sezione tibetana della collezione, i registi e artisti Ritu Sarin e Tenzing Sonam presentano un’installazione sonora che si confronta con la raccolta, unica al mondo, di frammenti provenienti dal monastero di Densatil, nel Tibet centrale. Nelle gallerie cinesi, l’artista coreana Sunmin Park presenta l’installazione video Pale Pink Universe, indagando il rapporto tra l’agire naturale e quello umano. Nel corridoio tra le gallerie della Cina e del Giappone, infine, Francesco Simeti ha realizzato l’installazione Description Generale (A Historical Map of the Other), una carta da parati con elementi di tessuto e oggetti luminosi in vetro che accompagnano il visitatore in un viaggio.

MAO - Museo Arte Orientale
Via San Domenico 11

Alice Neel, Richard in the Era of the Corporation, 1979 copia

Alice Neel @Pinacoteca Agnelli

La Pinacoteca Agnelli presenta la prima retrospettiva italiana dedicata all’artista americana Alice Neel (1900 -1984). Una mostra dal titolo I Am the Century, a cura di Sarah Cosulich e Pietro Rigolo, che rilegge un secolo attraverso la vita di questa grande pittrice novecentesca, che instancabilmente ha ritratto l’umanità attorno a lei con disincanto e pietà insieme, un pensiero influenzato dalla comédie humaine di Balzac.  Ritratti di amici, familiari, amanti, poeti, artisti e sconosciuti che appartenevano a tutti i ceti sociali. Ciascuno colto con una rara empatia, che ne interpretava l’anima rappresentandola con una chiave di realismo surrealista unico, insieme a una tavolozza cromatica erede dell’espressionismo. Lei stessa di definiva “collezionatrice di anime” nel suo raccogliere storie anonime di personaggi non famosi, protagonisti di vite minime che sono però quelle di tutti noi. Il percorso parte dagli anni in cui visse a Cuba, dal 1926, insieme al ricco marito Carlos Enrique, periodo che la segnò profondamente mostrandole cosa fosse l’ingiustizia sociale, le classi sociali e la loro condanna all’immobilismo anche sentimentale, oltre che culturale. Neel lascerà Cuba e il marito durante la Grande Depressione, alla fine degli anni Venti, per raggiungere New York, che diventa sua città elettiva. Lì continuerà a raccontare il mondo con uno sguardo attento alle differenze, alle specificità, abbracciando naturalmente anche i temi del femminismo e del mondo queer, il corpo durante la gravidanza e l’allattamento, la sessualità e la vecchiaia. Senza mai bandiere né manifesti, con una verità potente che stupisce e stana davanti ai suoi quadri. I suoi soggetti sono vivi davanti a noi. Lei stessa raccontava che quando dipingeva, si sentiva quella persona, per tutto il tempo era lei, il suo corpo, ne poteva sentire l’anima.

Pinacoteca Agnelli
Via Nizza 262

Jeff Wall, The Drain, 1989, Courtesy of the Artist and White Cube

Jeff Wall. Photographs @Gallerie d’Italia – Torino

Hanno segnato la storia dell’arte contemporanea i lightbox di Jeff Wall, quello strano straniante incontro tra fotografia, pittura, teatro e film che forma una cifra unica. Alle Gallerie d’Italia – Torino una grande retrospettiva, a cura di David Campany, ne rilegge il percorso, con opere e testi che danno voce al suo pensiero. Wall, classe 1946, non ama spiegare le sue immagini. Racconta che nascono da qualcosa che incontra nella vita, molta letteratura, molta arte (come i dipinti di Hokusai, Hopper, Manet, Delacroix) e molto cinema, ma anche molta casualità nelle giornate quotidiane. La strada, per esempio, è sempre stato un luogo di ispirazione, dove Wall ha tratto scene e dialoghi di sconosciuti che gli hanno suggerito spunti visivi e concettuali. Writing, li definisce l’artista, e spiega che “molti dei miei soggetti hanno origine in cose che ho visto ma che non ho fotografato. Le ricordo e cerco di riprodurle attraverso diverse tecniche che chiamo “cinematografia”. Lavoro in uno spazio a cui ho accesso grazie al non fotografare”. La vita diventa una sorta di metafora onirica in immagini bloccate nel tempo e nello spazio. Un reportage poetico, lo si potrebbe definire, avvolto da un silenzio che diventa meccanismo rivelatore delle tensioni, dove ogni tassello produttivo richiede lunghi tempi esecutivi. Quasi delle meditazioni che accadono dopo decantazioni di pensieri. In mostra si possono ammirare alcune delle sue opere più iconiche, come The Thinker, declinazione fotografica del Pensatore di Auguste Rodin, After «Invisible Man» by Ralph Ellison, the Prologue, che trae spunto dal romanzo dello scrittore statunitense Ellison, Odradek, Táboritská 8, Prague, 18 July 1994, ispirata a un racconto di Franz Kafka, I giardini (The gardens), realizzata nel 2017 nei giardini di Villa Silvio Pellico vicino a Torino.

Gallerie d’Italia – Torino
Piazza San Carlo 156

Lothar Baumgarten, Ameisenstaat Ant Society

Terza Risonanza @GAM

È la Terza Risonanza quella che la direttrice Chiara Bertola presenta alla GAM di Torino, un progetto complesso che si articola in 4 nuove mostre (anzi 5) e nel riallestimento delle collezioni storiche e contemporanee, che risuonano sui temi dell’incanto, del sogno e dell’inquietudine. La collettiva Notti. Cinque secoli di stelle, sogni, pleniluni fa da paesaggio corale alle personali di Lothar Baumgarten Culture Nature, di Elisabetta Di Maggio Frangibile e di Linda Fregni Nagler Anger Pleasure Fear. Tra di loro, si aggira L’intruso, questa volta Davide Sgambaro. Una proposta che vuole parlare del nostro tempo incerto attraverso visioni e materiali fragili, instabili, mutevoli, ambigui. La collettiva Notti, a cura di Elena Volpato e Fabio Cafagna, si compone di un centinaio di opere che declinano il concetto di notturno nel tempo, con prestiti internazionali che vanno del 1600 a oggi. Un excursus da Galileo Galilei a Giulio Paolini passando per Victor Hugo, Goya, Redon, Titina Maselli, Cornell, von Stuck, Casorati. Elisabetta Di Maggio, a cura di Chiara Bertola e Cafagna, porta in una dimensione dell’incanto, dello stupore, dell’apparizione delicata e poetica, di una pratica artigianale che forza i materiali e li rende inaspettati. Linda Fregni Nagler, a cura di Cecilia Canziani, approfondisce la natura dell’immagine fotografica lungo la sua storia, tra collezioni, generi e la dimostrazione sensibile della manipolazione del vero attraverso un falso oggettivo. Lothar Baumgarten (1944-2018), a cura di Chiara Bertola, presenta fotografie, disegni, installazioni e film di un artista che ha messo al centro il terreno permeabile tra immaginari, riuscendo a ricreare un angolo di giungla amazzonica nel giardino della sua casa in Germania. Davide Sgambaro, infine, a cura di Virginia Lupo, è quell’elemento intrusivo che disturba la superficie e accende la visione critica del contesto.

GAM
Via Magenta 31

Piero Fogliati

Piero Fogliati @Gagliardi e Domke

La mostra dedicata alla figura di Piero Fogliati (1930-2016) è un buon esempio di come a volte ci siano progetti scientifici ed espositivi negli spazi privati che sostituiscono assenze delle istituzioni. Nella grande galleria di Gagliardi e Domke si racconta la vita e il lavoro di Piero Fogliati, personaggio visionario e d’avanguardia, che realizzò con le sue mani opere incredibili e magiche partendo dall’osservazione personale della realtà quotidiana. La luce e il suono al centro, come fenomenologia di un mondo invisibile ma potente di forze che reggono il cosmo. Fogliati era nato in un paese dell’astigiano piemontese, dove iniziò a dipingere paesaggi collinari, i campi, le vigne. Quando arrivò a Torino nel dopoguerra, lo scontro con la frenetica e alienante città, simbolo di modernità e industrializzazione, fu uno shock, che lo portò a rivedere tutto. Abbandonò la pittura, o meglio, fece pittura in altro modo, uscendo dalla tela e dalla cornice, come spiegava. Una pittura vivente e in movimento. In cinque sale, in un percorso realizzato in collaborazione con l’Archivio Fogliati, si esplora quella Città Fantastica che rappresentava il cuore della sua ricerca. Una città dove le dimensioni dell’umano, dell’animale, del vegetale e del meccanico convissero in un unico respiro, con leggerezza, armonia e ironia poetica. Troviamo così opere che già si raccontano nei titoli. I disegni di Impianto degli eventi a sorpresa, Monte dei fiori sibilanti, Suoni nascosti dalla terra che vengono diffusi nel paesaggio, Latomie che diffondo un velo di gioia.  E poi Sculture cinetiche Fleximofoni, Ermeneuti, Svolazzatori cromocangianti, Macchine che respirano, per esempio. La realtà viene rivelata in quegli interstizi dove appare come una magia, un gioco di prestigio, invitandoci a osservare con attenzione, a lasciarci sorprendere, a conservare quell’incanto che è la vita.

Gagliardi e Domke
Via Cervino 16

Gatti e Sigari @Archivio Salvo

Una mostra colta e divertente, quella che mette in dialogo Salvo (1947-2015) e Mino Maccari (1898-1989), organizzata dall’Archivio Salvo, dove l’intelligenza e l’ironia, la curiosità e l’eterogeneità della cultura delle due figure si valorizzano a vicenda. Se Maccari fu scrittore e giornalista e poi pittore e incisore, vincitore del Premio Feltrinelli per la Pittura nel 1963, Salvo fu pittore e poi pensatore/scrittore. Luca Lo Pinto cura la mostra ponendo l’accento sul termine strapaese, il nome del movimento fondato da Maccari dove confluì l’esperienza della rivista “Il Selvaggio” da lui co-fondata e diretta dal ‘26 al ‘43. Il movimento faceva del regionalismo e del provincialismo un’arma contro l’esterofilia e soprattutto contro l’accademismo. Per Lo Pinto “Maccari e Salvo sono due strapaesani dell’arte. Seppur separati alla nascita da quasi cinquant’anni, hanno vissuto entrambi la loro avventura nell’arte con un’ironia sagace, beffarda, guidati dal pennello tra il fumo del sigaro toscano e il profumo dei canditi siciliani.” La mostra si intitola infatti Gatti e Sigari e costruisce una conversazione tra piccole opere, curiosità, divertissements (alcuni inediti) “immaginandoli come una sceneggiatura silente recitata a memoria dai due artisti nelle stanze dell’archivio.” Paesaggi naturali e urbani, architetture, nature morte e poi ritratti e libri, d’après riletti per Salvo. Visioni dove confluisce la storia dell’arte e una percezione del mondo vicino e lontano, e dove figurazione e astrazione si bilanciano continuamente, secondo un progetto geometrico e cromatico che sospende il suo mondo. E anche dove la parola concettuale, così come le sue riflessioni, risultano elemento complementare. Per Maccari il realismo espressionista si fa spesso surrealista, caricatura, sberleffo, commento politico e sociale, al suo tempo e alla commedia umana.

Archivio Salvo
Via Matteo Pescatore 17

dedicato all’Ucraina @Recontemporary @Ramo d’Oro @Associazione Barriera

Si parla in modi diversi di Ucraina in una serie di eventi e luoghi che accadono nella settimana dell’arte. Nomi e opere di artiste e artisti rimasti senza voce, schiacciati dalla guerra, da una cronaca che si occupa di un’emergenza bellica, umana, politica. E anche dalla propaganda, che spesso partorisce mostri. Al centro, oltre alla guerra, come esperienza individuale e collettiva, si parla di identità e memoria.
La Fondazione Recontemporary ospita dal 31 ottobre la mostra You Shouldn’t Have To See This, un progetto dei due artisti ucraini Yarema Malashchuk e Roman Khimei (membri anche del collettivo artistico Prykarpattian Theater che ha realizzato il progetto Theater of Hopes and Expectations per il Padiglione Ucraino alla Biennale Architettura di Venezia del 2023), che hanno fatto del rapporto tra arte e attivismo politico il nucleo della loro ricerca. Un progetto già presentato nel 2024 alla Biennale d’arte di Venezia.
Nella galleria segreta appena riscoperta e riaperta grazie al dehor interno del locale Ramo d’Oro in galleria Umberto I a Porta Palazzo, invece, sabato 1 ottobre ci sarà una grande festa di artisti e dj, anche ucraini, che ruoterà attorno all’installazione luminosa In the Name of God, site-specific di Piergiorgio Rubino (che ha anche in corso una mostra a Casa Casorati a Pavarolo, dove dialoga con le stupende e quasi inedite opere di design di Felice Casorati) per Studio Nucleo, composta da due sottili bombe di resina disposte a croce e sospese come un totem nello spazio. Un’opera simbolica dedicata a tutte le vittime civili delle guerre in corso, alla cultura che viene sacrificata alla violenza, al potere e all’economia. Infine, la collettiva Stories we carry, che verrà presentata da Associazione Barriera domenica 2 novembre, realizzata in collaborazione con eastcontemporary, e riunisce artiste e artisti di diverse generazioni: Andrius Arutiunian, Nikita Kadan, Aziza Kadyri, Mila Panić, Ala Savashevich, Slavs e Tatars e Anastasia Sosunova. 

Recontemporary, via Gaudenzio Ferrari 12, 31 ottobre h 19
Ramo d’Oro, galleria Umberto I, 1 novembre h 20-24
Associazione Barriera, via Crescentino 25, 2 novembre h 10-13
 

Fiona Banner, Pranayama Organ, 2021 Courtesy the artist and Frith Street Gallery, London © Fiona Banner Studio

Push the limits 2 @Fondazione Merz

Forzare i limiti, andare oltre, far saltare la superficie è anche il compito dell’arte, che è sempre politica, anche quando non lo fa per manifesto. Si intitola Push the limits 2 la collettiva alla Fondazione Merz che riunisce un bel gruppo di 20 artiste che non fanno arte fine a se stessa. Spiegano le curatrici Claudia Gioia e Beatrice Merz, che “la mostra esplora la capacità dell’arte di rispondere alle questioni attuali e urgenti e di farsi portatrice di cambiamento, rifiutando la rassegnazione all’immobilità. Artiste di generazioni e provenienze diverse che fanno del superamento e della trasformazione dei limiti imposti e supposti la propria grammatica artistica.” Un’ispirazione la frase di Mario Merz “la cultura si sveste e fa apparire la guerra”. È bello citare tutte le protagoniste, un appello che dà presenza a figure che ci ricordano come l’arte sia elemento fondamentale della vita sociale, strumento di educazione, di emancipazione, di libertà. Eccole: Heba Y. Amin, Maja Bajević, Mirna Bamieh, Fiona Banner aka The Vanity Press, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Latifa Echakhch, yasmine eid-sabbagh/Rozenn Quéré, Cécile B. Evans, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Emily Jacir, Jasleen Kaur, Katerina Kovaleva, Teresa Margolles, Helina Metaferia, Janis Rafa, Zineb Sedira, Nora Turato. I loro racconti si articolano con installazioni, video, fotografia, disegno, suono, performance e coinvolgono i materiali artistici come quelli del quotidiano.

Fondazione Merz
Via Limone 24

Binta Diaw @PAV

Al Pav il curatore e direttore artistico Marco Scotini continua la sua indagine e la sua proposta di figure di artiste di valore internazionale e storico, fuori dalla scena mainstream e quindi quasi sconosciute al grande pubblico. Un progetto importante, che si compone come una collezione, mostra dopo mostra, ciascuna illuminando ricerche e riflessioni di un’arte che si colloca in un’agora attiva e non solo teorica della comunità internazionale. In un ambito tra natura, corpo femminile e pensiero decoloniale, “con l’obbiettivo di creare un dibattito pubblico per la definizione di una nuova ecologia politica, capace di ripensare i rapporti tra arte, natura e società globale”, spiega. Dopo le personali di Navjot Altaf, Arahmaiani e Regina José Galindo, arriva Binta Diaw, che elegge la liana come elemento, come segno, come vettore simbolico di una visione fragile e potente insieme. La mostra si intitola Dove le liane s'intrecciano, e nel sottotitolo, Resistenze, alleanze e terre, già contiene il suo senso. Binta Diaw, nata a Milano nel 1995, è un’artista italo-senegalese attiva a livello internazionale. Una delle opere centrali della mostra, infatti, l’installazione Dïà s p o r a, è stata presentata alla Biennale di Berlino 2022: una struttura realizzata con trecce di capelli (i materiali organici sono tipici del suo fare, così come i semi e la terra) forma una sorta di ragnatela sospesa. L’opera evoca la trasmissione culturale e la resistenza poetica attivata dalle donne vittime della tratta schiavista transatlantica, che nascondevano semi e mappe nei capelli. Anche l’installazione Chorus of Soil (2019), riproduzione della pianta della nave negriera Brooks, affronta il tema della schiavitù, con un’idea rigenerativa che trasforma ideali sagome degli schiavi in germinazioni vegetali di un giardino.

PAV
Via Giordano Bruno 31

Maurizio Cattelan, La rivoluzione siamo noi

Menzione speciale ai 30 anni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che festeggia i trent’anni e lo fa con una mostra dal titolo News from the near future (sdoppiata anche al Museo dell’automobile) e soprattutto tracciando una mappa di dialoghi con diverse istituzioni cittadine: il Museo Nazionale del Cinema, il Museo Egizio, il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, il Teatro Regio Torino e il Museo Schneiber. Un invito a percorrere la cultura torinese contemporanea.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Via Modane 16

Olga Gambari, 28 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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