Grayson Perry

© Annar Bjorgli Courtesy National Museum of Norway

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Grayson Perry

© Annar Bjorgli Courtesy National Museum of Norway

Grayson Perry, il ceramista cavaliere si dà al musical

A Edimburgo la più grande monografica dedicata all’artista e star televisiva britannica e Turner Prize nel 2003, che ha ispirato un’intera nazione durante la pandemia

Quando Grayson Perry si presentò per ritirare il Turner Prize nel 2003 dichiarò con la sua caratteristica ironia: «Era ora che il premio andasse a un ceramista travestito dell’Essex». Oggi la ceramica è un materiale piuttosto diffuso nel mondo dell’arte, i suoi vasi e piatti, spesso decorati con commenti sociali e sberleffi al mondo dell’arte, insieme alle sue recenti incursioni nell’arazzo, nelle stampe e nelle sculture e ai suoi abiti sempre più elaborati, hanno fatto guadagnare a Perry una vasta notorietà pubblica e numerosi riconoscimenti. È stato eletto Royal Academician nel 2012, è stato il primo artista visivo a tenere le prestigiose Reith Lectures della BBC nel 2013 e ha vinto l’Erasmus Prize nel 2021. Già insignito di un CBE, quest’anno ha ricevuto un cavalierato per i servizi resi alle arti. Ha realizzato e presentato documentari televisivi pluripremiati su temi come la mascolinità, l’identità, il gusto e l’inglesità. La sua serie televisiva «Grayson’s Art Club» è stata seguita da un pubblico numeroissimo durante la pandemia di Covid-19. Nel corso degli anni ha avuto mostre monogrfaiche ad Amsterdam, Oslo e in Australia, e quest’estate le National Galleries of Scotland hanno organizzato la prima grande retrospettiva di Perry nel Regno Unito, la più grande mai realizzata sulle sue opere, che si aprirà nella Royal Scottish Academy di Edimburgo fino al 12 novembre.

La mostra ripercorre la sua carriera, dalla sua prima opera, un piatto di ceramica del 1983 intitolato «Kinky Sex», a quella più recente, «Sir Pervert» del 2023. Quest’ultima è pun commento al suo recente cavalierato?

Ogni volta che ricevo un riconoscimento penso sempre: hanno davvero guardato il mio lavoro? Uno dei miei grandi trionfi tattici è stato che, fin dal mio primo piatto, ho lavorato sul mio io segreto: tutti i miei primi lavori parlavano delle mie varie perversioni, dei miei desideri, dei miei travestimenti e di tutto il resto. Ogni volta che vengo accolto in un livello superiore dell’establishment penso: sì, ha funzionato!

Ha mai pensato di rifiutare questo ultimo e prestigioso riconoscimento dell’establishment?

No! Quando ho ricevuto il CBE, circa 10 anni fa, ricordo di aver detto a mia figlia Flo: «Pensi che dovrei accettarlo?». E lei mi ha risposto: «Non essere così colpito, non sei tu, papà». Ho analizzato le mie reazioni e l’ho trovato divertente. Il cavalierato lo uso solo per i messaggi agli amici più stretti. Mi limito a firmare Sir G. Ma non lo userei mai in nessun altro contesto. Lo riceverò tra qualche settimana.

Che cosa indosserà?

Sto disegnando qualcosa di folle e bizzarro. I miei punti di riferimento sono carolingi. Ho pensato: facciamo riferimento a un precedente re Carlo. Così sono tornato a quel periodo di abiti femminili: ampi, di taffetà, a balze e piuttosto matronali, perché ora ho una figura matronale.

Oltre ad aver vinto il Turner Prize, l’Erasmus Prize ed essere stato eletto Royal Academician, ha vinto anche diversi premi televisivi. Ritiene che il suo successo come presentatore abbia influito sulla sua reputazione nel mondo dell’arte?

Ho chiamato la mia mostra alla Serpentine Gallery «La mostra d’arte più popolare di sempre». Mi prenderò sempre gioco dell’idea di esclusività e del disperato bisogno del mondo dell’arte di nascondersi dietro la serietà delle apparenze. Una delle mie grandi campagne riguarda l’accessibilità, ma non legata a una comunità, piuttosto intesa come una sorta di abbraccio. Esiste la grande arte ma non c’è bisogno di professori per capirla. Questa strana idea di dover usare un certo vocabolario per apparire come un adulto nel mondo dell’arte è pomposa, pretenziosa e indegna. Penso che si possa essere altrettanto potenti e complessi e usare un linguaggio accessibile e parlare in termini accessibili. Spesso penso che il mondo dell’arte dia troppo potere agli scrittori.

Ideare e condurre programmi televisivi ha avuto un impatto sulla sua arte?

La mia attività televisiva mi ha portato a fare un lavoro più al di fuori di me stesso: fino al 2000, quando facevo terapia, il mio lavoro era molto egocentrico, incentrato su di me. Dopo essermi «ingozzato di terapia» mi sono dato il permesso di dire: «Ok, ora farò un lavoro sulla classe e sulla società». E così, sebbene tutto il mio lavoro sia in una certa misura un autoritratto, ora riguarda anche altre cose. Se guardo i miei primi lavori, mi sembrano un po’ oscurantisti e ossessionati da me stesso. Ma penso che questo sia vero per qualsiasi giovane, quindi sono abbastanza compassionevole nei miei confronti. È l’arte di un giovane.

L’argilla è ancora il suo materiale di riferimento principale? Ultimamente sembra chestia spaziando tra tessuti, sculture in metallo e stampe.

Se penso alle ultime dieci cose che ho fatto, forse metà erano vasi, ma in termini di ore di lavoro all’anno, probabilmente passo un terzo del tempo a fare vasi. Poi faccio anche sculture, che tendono a partire dalla ceramica; se faccio un bronzo lo inizio con la ceramica perché è il materiale con cui so lavorare. Gli arazzi e le stampe sono importanti per me. Per la mia prossima mostra alla Wallace Collection, tra un paio d’anni, realizzerò un mobile in piastrelle e probabilmente farò anche un tappeto.

I suoi arazzi sono fatti a macchina, non lo vede come un modus operandi che va in conflitto con l’idea di creazione artistica?

Assolutamente no. Si tratta del mio rapporto con l’artigianato, i materiali e la desiderabilità di un oggetto. Se voglio fare una performance, per esempio, la faccio nella Albert Hall! Non ho intenzione di fare del cattivo teatro nella stanza sul retro di una galleria d’arte. E se voglio fare televisione, non farò un video noioso di 28 minuti, montato male e proiettato in una scatola bianca dove ci si deve sedere su una panchina scomoda; lo farò per le persone sedute a casa sui loro divani su Channel 4. È quello che ho sempre fatto. Quando ho iniziato a fare vasi, non facevo sculture di ceramica, facevo vasi. E quando faccio una stampa, voglio che assomigli a una mappa o a qualcosa che tutti conoscono già, dove il genere vero e proprio non è in discussione. Il canto è la mia più recente attività: sto facendo un musical. Sarà molto tradizionale. Ci sto lavorando da tre anni con Richard Thomas, che ha realizzato Jerry Springer: the Opera.

Quale sarà il tema del suo musical?

Stiamo facendo «Grayson Perry: the Musical». La mia vita come un musical, ma fortemente romanzata per realizzare una storia bella e divertente. Abbiamo già scritto 14 o 15 canzoni. Credo che debutterà a Birmingham nel 2025.

Che cosa la spinge a provare sempre cose nuove? La maggior parte delle persone si accontenterebbe di essere un artista di successo.

Io amo imparare. C’è una vera energia in questo per me: la novità. Il canto è un esempio perfetto. Ho iniziato poco prima del lock down e all’inizio è stato molto difficile. Poi raggiungi una piccola piattaforma e pensi: «Oh, ora posso farcela!». E poi raggiungi un’altra piccola piattaforma ed è emozionante. È un mondo tutto nuovo e si impara continuamente. È la stessa cosa con il musical: quando abbiamo iniziato leggevo libri su come si scrive un musical, sulla storia dei musical e sui pettegolezzi sui musical, e andavo a vedere i musical perché mi piace imparare le cose: è così entusiasmante.

Nato nel 1960 a Chelmsford, Essex. Diplomato nel 1982 BA, Portsmouth College of Art and Design. Tra le mostre principali: 2002 Stedelijk Museum, Amsterdam; 2006 Andy Warhol Museum, Pittsburgh; 2011 British Museum, Londra; 2015 Museum of Contemporary Art, Sydney; 2017 Serpentine Galleries, Londra; 2020 Holburne Museum, Bath; 2022 National Museum, Oslo. È rappresentato dalla Galleria Victoria Miro.

Luisa Buck, 31 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

Grayson Perry, il ceramista cavaliere si dà al musical | Luisa Buck

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