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Anna Orlando
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La città che detiene la massima concentrazione di case d’aste in Italia, Genova, continua a non credere che sia un settore da valorizzare, come fanno invece altrove con sforzi encomiabili e un entusiasmo ammirevole. E penso innanzi tutto all’ultima Biennale di Firenze che ha voluto indicare a tutti un nuovo possibile trend. Lasciamo stare le saracinesche chiuse. Quelle si sono abbassate ovunque nel nostro Paese. Ma che almeno abbia una sua dignità l’unico appuntamento annuale che punta a un antiquariato di qualità. Il 15 gennaio si è inaugurata «Antiqua». Altro che fuochi d’artificio (penso sempre a Firenze)! Regnava il buio pesto. Raggiungere il padiglione fieristico (disconosciuto dal suo progettista Jean Nouvel), dove si continua a tenere annualmente un Salone Nautico ridotto all’osso, è stata una gimcana cieca tra la tendopoli degli operatori del vicino luna park. Rispetto alle tristi quanto psichedeliche illuminazioni eccessive dei baracconi, quella desolata landa di dimore improvvisate accoglieva gli invitati al vernissage. Nessuna segnaletica. Non un lampione acceso. Ma non è tutto. Tra le più desolanti sorprese di chi visitava gli stand, cercando di selezionare chi ha cercato di distinguersi da una qualunque bancarella di brocantage, c’era questa: il minuscolo spazio di un mercante di archeologia, con vetrine contenenti oggetti di gusto raffinato e di un certo pregio, ha dovuto mettere delle catenelle perché nessuno vi entrasse. Paradossale? Certo. Ma visto che il piano di calpestio che è stato offerto a questo gallerista da fuori era sconnesso, si evitava almeno che le terrecotte greche si frantumassero a Genova, dopo aver resistito secoli al violento ripercuotersi dei passi. È quel che si dice «accoglienza».
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