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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliAntonio Natali non è più direttore degli Uffizi: «Non ho agito da intellettuale polveroso e dopo questa vicenda conservo la fede in Dio, ma anche nello Stato»
Molte le polemiche sulle nomine dei direttori manager: per la Toscana la più eclatante riguarda Antonio Natali (il cui posto alla direzione degli Uffizi è ora passata a Eike Schmidt, con l’aggiunta del complesso di Palazzo Pitti), forse perché non destavano molti dubbi la sua dedizione forsennata al museo (chi lo conosce ben ricorda il volto divenuto scarnissimo e i 10 kg di peso persi nei mesi successivi alla bomba del 1993, ben prima di divenire direttore, nel 2006), ma anche il suo approccio «manageriale»: quasi cinque milioni di euro raccolti negli ultimi quattro anni da privati per restauri e apertura di nuove sale, senza mai affitarne una per eventi a pagamento, e aver portato, dal 2011 a oggi, le sale del museo da 50 a 103, cui si aggiungono altre 8 che apriranno il 15 settembre grazie allo sponsorizzazione di Ferragamo.
Lavori compiuti con mezzi talvolta insufficienti, con difficoltà evidenti date dall’enorme afflusso di visitatori, senza mai chiudere un solo giorno il museo («Neppure per dieci minuti, ricorda lui, quando il Rijksmuseum di Amsterdam è stato chiuso per dieci anni») e introducendovi il colore a qualificare geografie e cronologie.
Quanto all’annosa vicenda della pensilina di Arata Isozaki, Natali, senza entrare in merito al progetto, ha sempre sostenuto che lo Stato non potesse sconfessare la decisione presa da una commissione di alto livello. Natali non aveva presentato candidatura per nessun altro museo, proprio perché solo nei suoi Uffizi gli interessava restare, per portare avanti i progetti già avviati. D’altronde le sue pubblicazioni, di alto profilo scientifico (per le quali aveva anche ottenuto vinto un posto da ordinario all’università, declinato proprio per dirigere gli Uffizi), sono quasi solo rivolte al patrimonio della Galleria, cui si aggiunge l’attività intensa di mostre nel museo, molto visitate come le ultime di Gherardo delle Notti o di Piero di Cosimo. Sale piene anche quando il percorso verso di esse nel museo non era obbligato.
Senza dimenticare le mostre della «Città degli Uffizi» (18 in 6 anni), nelle quali opere dai depositi erano portate a dialogare con altre del territorio italiano (l’ultima è quella attuale a Casal di Principe, in provincia di Caserta), promuovendo quindi un’attività didattica, con buona risposta da parte dei media, ma anche, in termini meramente economici, con riverberi notevoli sul territorio, come gli stessi operatori del settore turistico tuttora gli riconoscono.
Dai depositi provenivano anche le opere delle mostre natalizie a tema, i «Mai visti», nella Sala delle Reali Poste. «Non ho agito da intellettuale polveroso e dopo questa vicenda conservo la fede in Dio, ma anche nello Stato: dello Stato sono servitore, non sono invece servo degli uomini», ha commentato e, con un tono leggero e sottilmente ironico, ha aggiunto una citazione evangelica, tra le molte che in questi giorni gli sono giunte alla mente: «Padre perdona loro… (e quel che segue)».
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