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Francesca Leoni
Leggi i suoi articoliArrivo all’Ashmolean Museum, il museo di arte e archeologia dell’Università di Oxford, nel 2011, dopo cinque anni passati come ricercatrice e curatrice presso il Metropolitan Museum di New York e il Museum of Fine Arts di Houston. Il mio interesse per gli studi orientali parte dall’Italia, con una laurea in lingue e civiltà orientali presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, seguita da un master e un dottorato in arte e archeologia islamica presso l’Università di Princeton. La passione per i musei è però legata agli Stati Uniti. Grazie a un’internship a New York ho scoperto il valore e il piacere di un percorso professionale a cavallo tra mondo accademico e pubblico. L’impatto di questa esperienza è stato cruciale, tanto che dal 2022 ho sviluppato un programma di internship estive all’Ashmolean per laureandi con la speranza di ispirare le generazioni future a intraprendere lo stesso viaggio. Il lavoro di un curatore oggi è alquanto vario, specialmente in un contesto come quello di Oxford.
La cura e lo studio delle collezioni di cui sono responsabile occupano in realtà (e purtroppo!) solo una piccola parte del mio tempo. Le giornate sono dominate da attività amministrative: pianificazione dei budget, programmazione, coordinazione di attività come rotazioni in galleria, mostre temporanee, progetti di ricerca e rapporti con il pubblico. Trattandosi di un’istituzione universitaria, l’insegnamento occupa un’altra porzione considerevole del tempo durante l’anno accademico, con lezioni, seminari e tutorial settimanali per laureandi e specializzandi. Questa varietà rende il lavoro gratificante e l’opportunità più grande sarebbe farlo nel mio Paese, condividendo e diffondendo le tante lezioni apprese all’estero in più di vent’anni di carriera. Tuttavia, al momento in Italia non esistono opportunità professionali competitive ed equiparabili a quelle disponibili in Europa e Nord America, né istituzioni con aree e risorse dedicate permanentemente allo studio e alla valorizzazione del patrimonio culturale islamico.
Ciononostante, un gran numero di musei, archivi e biblioteche italiane contengono raccolte di opere di origine islamica che testimoniano il valore di questa tradizione in Italia, inclusa un’eccellente storia di studi orientalistici in sedi prestigiose come Napoli, Venezia, Roma ecc. Dalla prima dominazione musulmana nel Meridione a partire dal IX secolo, agli scambi intellettuali e commerciali durante i periodi medievale e rinascimentale, ai conflitti dell’età premoderna, fino alle collaborazioni delle avanguardie artistiche nel XX secolo, l’evoluzione culturale dell’Italia è passata attraverso la costante interazione con realtà esterne e tra queste il mondo islamico ha sempre occupato un ruolo centrale.
Nel ventunesimo secolo, in un mondo sempre più connesso e globale, è obsoleto parlare di cultura come di un’esperienza isolata o creata dal singolo genio di un Paese. Ogni cultura si nutre di stimoli ed esperienze diverse per definizione. Esplorare le culture del mondo, ma anche gli incontri e le sinergie tra esperienze solo geograficamente distanti non può che arricchire il nostro senso di identità, sfidando di fatto la tendenza all’isolazionismo e all’eccezionalità ciclicamente fomentata da populismi e nazionalismi.
La natura multietnica delle società moderne richiede anche offerte culturali in grado di riflettere e soddisfare questa diversità, creando un contesto ideale per l’integrazione.
Ricordo sempre l’impressione avuta agli inizi dei miei studi dalla scoperta di motivi pseudoepigrafici arabi sui tessuti indossati dalla Vergine nelle classiche scene di Annunciazione o Presentazione, come «La Madonna col Bambino» di Giotto del 1320. L’appropriazione di questi preziosi filati di fattura «islamica» in ambito cristiano, mirati ad amplificare la nobiltà del soggetto dipinto, rivela sia l’apprezzamento degli aspetti più sofisticati di una cultura diversa e chiaramente non percepita come aliena o nemica, sia l’arricchimento derivato dalla loro appropriazione. Questi nodi e incontri sono opportunità preziose per sviluppare un’offerta culturale capace di esaltare il contributo di diversi interlocutori e ispirarne l’apprezzamento.
E parlando di valorizzazione, all’Ashmolean è in corso una piccola mostra dedicata a due dipinti del primo periodo Qajar (1789-1925), uno dei quali rappresenta il secondo sovrano di questa importante dinastia persiana: Fath Ali Shah. Le tele sono state oggetto di un progetto di ricerca e restauro negli ultimi due anni: raggi X e spettroscopia Raman hanno rivelato nuove informazioni circa la genesi della ritrattistica persiana alla fine del Settecento. Per rendere il soggetto più accessibile al pubblico di Oxford, per il quale l’arte persiana è poco conosciuta, oltre che sempre più a rischio per le crescenti tensioni politico-militari, ho scelto di presentare il dipinto di Fath Ali Shah in relazione a quelli di due suoi, più noti, contemporanei, re Giorgio III e Napoleone, per esplorare le soluzioni iconografiche adottate da questi sovrani per esprimere autorità e potere. Nel 2026 apriremo «In Bloom», una mostra dedicata alle piante ornamentali e al loro impatto storico, culturale e ambientale. Tra quelle selezionate ci sono anche tulipano, camelia e peonia, tre fiori originari dell’Asia ampiamente celebrati nelle arti decorative islamiche e asiatiche e progressivamente naturalizzati nell’arte prodotta in Europa dal XVI secolo in poi.