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Diletta Dogliani
Leggi i suoi articoliIl terzo episodio di velo project, il progetto curatoriale indipendente fondato da Lorenzo Pagliani, Veronica Recchia e Marco Beretta prende forma fino al 29 novembre negli spazi di Via Romilli 20, Milano, dove ad aprile è stata presentata la seconda mostra del trio, Fontane animali cowboys, che analizzava diacronicamente la creazione di ceramiche nell’arte contemporanea italiana. Oggi l’attenzione dei tre curatori si sposta sulle Fiandre, presentando fino al 29 novembre FLEMISHNESS, un dialogo fra gli artisti storicizzati Jef Geys (1934-2018) e Jan Vercruysse (1949-20218) e due giovani scoperte, entrambi operanti ad Amsterdam, W. Rossen (1995) e Melle Van Herwaarden (1995). Flemishness è una mostra sull’identità nazionale, che non risulta forzatamente locale, ma anzi che si contraddistingue per il senso di irrequietezza degli artisti che provengono da un paese frammentato e che per questo ricercano, o forse naturalmente traggono, dall’origine la propria identità.
Infatti, la separazione storica fra Belgio e Paesi Bassi, risalente al 1500, non ha mai scalfito la comunione culturale dei due paesi, che non solamente parlano ancora la stessa lingua, ma anche visivamente si fondano sui comuni modelli rinascimentali. Nelle loro opere appare il retaggio della figurazione fiamminga che, a partire da Jan van Eyck, si focalizzò sulla resa del dettaglio, della preziosità dell’oggetto inanimato e sulla fissità della figura ritratta.
Consapevoli del rilievo che i modelli cinquecenteschi rivestirono nella loro pratica, gli artisti delle Fiandre iniziarono a sostenere la matrice culturale comune da cui provenivano, per definirsi nella contemporaneità. Jan Vercruysse, primo artista esposto in mostra, in dialogo con Carolyn Christov-Bakargiev, si dichiarò “l’ultimo fiammingo primitivo”. Questa affermazione identitaria è sostenuta dalla convinzione che il retaggio fiammingo dovesse essere trasformato in una forza positiva, in un mito positivo. Egli manifestò questa sua convinzione nella sua pratica intimistica e riluttante al sistema, fondando la sua propria mitologia: quella dell’assenza e della quiete, della creazione di spazi contemplativi in cui vige il silenzio. L’opera Paroles XXIV (1998), ultima di un progetto seriale dedicato a installazioni simili a pulpiti, è esposta al centro dell’ampia vetrina di Via Romilli. Ognuna di queste opere, ci racconta Lorenzo, è corredata di elementi aggiuntivi, spesso in vetro, come in questo caso una grande quantità di biglie colorate. L’ironia del loro gioco di colori, unita alla sonorità evocata dalle biglie, ricorda la cattedra di una predica silente e allo stesso tempo rimanda alla potenza dell’arte, che non afferma mai, ma costantemente interpreta il mondo.
                        
                    Melle Van Herwaarden Coupeur 3 (Gijs) 2025, oil on linen, 75 x 60 cm / 29.5 × 23.6 in - Courtesy of the artist, CFA and velo project, Milan
                        
                    Jef Geys Viola Alpina (Reuze Alpenviola / Pensée géante des Alpes) 2010, oil on canvas and two frames (one painting each year) 140 x 90 cm, 23 x 90 cm, 13 x 27 cm / 55 x 35.4 in, 9 x 35.4 in, 5 x 10.6 in - Courtesy of the artist and Air de Paris, Paris
La serialità come matrice concettuale della creazione, come processo di reiterazione del quasi identico è presente anche nelle opere di Jef Geys. Il suo prolifico lavoro, esposto per la prima volta a Milano da velo project, si concentra sugli stimoli visivi e culturali che l’artista colse a Balen, il piccolo paese della provincia di Anversa dove trascorse la sua vita. Qui Geys, avido nell’ispirarsi alla tradizione rurale e industriale del suo paese, con una pratica simile a quella di un archivista, si appropriò delle immagini promozionali di una ditta locale di sementi trasformandole in tele e fissandole nel tempo con la giustapposizione dell’anno di realizzazione all’opera. Viola Alpina (2010) esemplifica la pratica locale di un artista dal valore universale, così come l’analoga, almeno teoricamente, opera Passeport de vache (Annabelle) (1965-20214), anch’essa parte di una vasta serie fotografica dedicata alla redazione di passaporti da viaggio delle mucche che abitavano una fattoria vicina alla casa dell’artista.
Riprendere un’immagine, instancabilmente, significa appropriarsene e approfondirne le sfaccettature, restituendo delle opere di matrice concettuale che si avvicinano alla pratica d’indagine della realtà degli artisti fiamminghi rinascimentali e che al contempo trattano il tema dell’industrializzazione imperante in Europa a partire dagli anni Cinquanta.
Il dialogo intragenerazionale prosegue in mostra con l’esposizione dei lavori di W. Rossen (1995) e Melle Van Herwaarden, i quali, sicuramente più attenti al ritorno odierno alla figurazione, si accostano, per tecnica, alla pittura fiamminga e ne traggono ispirazione. W. Rossen rappresenta degli oggetti, spesso maneggiati dall’uomo, con una possibilità di interazione fra l’animato e l’inanimato. Una macchina fotografica stagliata su un paesaggio fiammingo del 1600 ripreso da un pittore minore e un giornale apparentemente dettagliato nella stesura del testo, ma in realtà solo scarabocchiato, rimandano al culto del particolare fiammingo e enfatizzano, in dialogo con Vercruysse, l’idea di arte come potenza disvelatrice di una realtà solo in parte interpretabile e conoscibile. Melle Van Herwaarden invece, è l’epigono fiammingo del filone della ritrattistica contemporanea e della pittura d’interni, in cui i corpi si muovono agevolmente e con naturalezza. La figura ritratta, il fratello dell’artista, appare riflessivo, rilassato in una luce diffusa che contrasta e rinnova la tendenza alla fissità della pittura fiamminga.