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«Fine», di Fabio Mauri

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«Fine», di Fabio Mauri

Fine senza fine

PERCHÉ L’HO COMPRATO | Incontri, scontri e riscontri di Brando, pseudonimo di un collezionista operatore finanziario, vorace cacciatore internazionale di opere che siano investimenti sicuri di interesse «storico»

Febbraio 2023. Sono a Londra, Mayfair, esattamente in Savile Row, per un vernissage della galleria Hauser & Wirth, che celebra il poliedrico artista tedesco Günter Förg con la mostra «Tupfenbilder». Da ragazzo in questa via regno del tailor made «bespoke» avevo commissionato il mio primo abito su misura. Un abito sartoriale proveniente da Savile Row è per un uomo un lifetime investment. Erano i tempi dell’università e il mio college si trovava a 20 minuti da qui, salendo a nord di Regent Street e poi a sinistra per New Cavendish Street fino a Marylebone.

Incrocerò Savile Row anche nella mia successiva vita di discografico perché proprio in quella stessa strada al numero 3 si trovava la Apple Records, l’etichetta famosa per essere stata fondata dai Beatles nonché sede dell’ultima esibizione pubblica dei quattro di Liverpool nel 1969: una mecca per chiunque abbia fatto il mio lavoro a Londra nel secolo scorso. Ed eccomi di nuovo qui a seguire le mie passioni che continuano a coincidere con i miei investimenti. Quando il vernissage della mostra sta per volgere al termine, la direttrice di Hauser & Wirth mi invita a un evento privato che si tiene presso The Audley Public House in Mount Street, sempre in West One. Accetto e ci dirigiamo verso questo magnifico ex pub costruito nel 1888 e restaurato con grande rispetto da Hauser.

Il pianterreno è aperto al pubblico, mentre sul retro, attraverso una piccola scala, si accede ai privatissimi piani superiori dove si svolge l’ultimo atto della serata per pochi intimi. Le sale si susseguono una dopo l’altra, decorate da legni antichi e dettagli in tutte le sfumature di rosso. Il contrasto fra gli stilemi della Londra vittoriana e le opere d’arte contemporanea crea un’atmosfera per me davvero inebriante. The Audley Public House è un luogo dove storia, arte contemporanea e intrattenimento trovano una sintesi perfetta nel concetto di «Artainment». Scherzando, dico alla mia compagna che mi sento come Bruce Lee quando nel film «Game of Death» sale, uno alla volta, i livelli della pagoda: più che un viaggio questa è un’ascesa spirituale, dove al centro del discorso non ci sono le arti marziali, bensì l’arte contemporanea.

Giunti all’ultimo piano, conclusione del nostro viaggio, vedo sull’ultima parete un’opera che attira irresistibilmente la mia attenzione, che recita la parola «fine». È di Fabio Mauri, uno degli esponenti del Nouveau Réalisme, il movimento artistico nato nel 1960 da un’intuizione del critico francese Pierre Restany. Credo che non esistano coincidenze fortuite, ma segnali che la vita ci dà: avevo visto quell’opera per la prima volta alla Biennale di Venezia, alcuni anni fa, e mi ci ero imbattuto più recentemente sfogliando il catalogo Fabio Mauri. Archivio di memoria a cura di Dionigi Mattia Gagliardi, dopo aver visitato la mostra «Vita Nuova» al Mamac di Nizza.

Me la ritrovo davanti a Londra: è sempre così potente e sempre più capace di catturare il mio sguardo! Ora sono a pochi centimetri da lei e mi fermo ad ammirarla, finché non sento una voce alle mie spalle che mi sussurra: «Sapevo che ti sarebbe piaciuta». È la mia amica Federica Beretta, direttrice di Hauser & Wirth Monaco: lei sa già cosa sta per accadere. Ancora una volta a Londra stacco da una parete un quadro che amo e ancora una volta sono più che mai convinto che la «fine» per il mio investimento e per il fascino e il significato di quest’opera straordinaria sia ancora molto, molto lontana.
 

«Fine», di Fabio Mauri

Brando, 23 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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